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 2019  dicembre 23 Lunedì calendario

Intervista ad al-Serraj

Fayez Sarraj non chiama mai Khalifa Haftar per nome. Per il premier del governo di Accordo Nazionale a Tripoli il capo militare della Cirenaica diventa semplicemente «l’aggressore». È un dettaglio. Ma aiuta a capire la gravità della crisi libica, che sconvolge anche gli equilibri nel Mediterraneo, sempre più esplosiva con il crescente intervento militare straniero. Si chiudono le porte della diplomazia? Ieri i guardacoste di Haftar hanno sequestrato una nave turca e intanto la Grecia manda il suo ministro degli Esteri a dialogare con Abdullah al Thani, premier del governo dell’Est non riconosciuto dall’Europa.
Primo ministro, l’Italia si rifiuta di mandare le armi che chiedete per combattere Haftar. Così le avete ottenute dai turchi. Dopo la visita martedì di Luigi Di Maio qui in Libia sono ormai tanti a parlare di rischio di «irrilevanza» italiana...
«Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l’Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi. Da Roma, in verità, non sono mai giunte risposte ufficiali. Con Di Maio abbiamo avuto un ricco scambio d’opinioni. Quanto invece alla sua tappa a Bengasi dal nostro aggressore e Tobruk non ho visto alcuna sostanza, oltre a generiche dichiarazioni di amicizia che lasciano il tempo che trovano. Così, la comunità internazionale risulta divisa. Da una parte i Paesi disposti ad armare i nostri avversari-aggressori. A loro si contrappongono altri Paesi, tra cui l’Italia, che credono tutt’ora alla formula per cui l’unica soluzione resta il dialogo politico. Ma si tenga a mente che qui siamo sotto attacco militare, con sofferenze indicibili per la popolazione vittima di bombardamenti, morti, feriti, con centinaia di migliaia di sfollati».
Haftar avanza anche grazie ai soldati russi. Le milizie di Tripoli mostrano i video dei tank turchi sbarcati a Misurata. Alla fine saranno Putin ed Erdogan a dettare le regole del gioco?
«È uno scenario difficile, reso ancora più complesso dagli interventi stranieri. Non credo però che l’intera questione possa venire risolta solo dai colloqui tra Putin ed Erdogan. È un processo caratterizzato da continui contatti bilaterali e multilaterali, in cui non mancano le voci degli Stati Uniti, della Germania impegnata con l’Onu a preparare la conferenza di Berlino e degli altri partner europei. Il nostro aggressore ha già fallito. Al momento del suo improvviso attacco il 4 aprile diceva che avrebbe preso Tripoli entro 48 ore. Nove mesi dopo la guerra continua. Sono certo che saremo noi a prevalere. Alla fine sarà deciso chi ha il diritto di negoziare il futuro della Libia e invece chi è l’aggressore destinato ad essere giudicato dal tribunale internazionale».
Roma e altri Paesi criticano la sua intesa con Erdogan per il controllo delle acque del Mediterraneo. Di Maio ha protestato dicendo che un buon alleato prima avrebbe avvisato...
«Prima di tutto Libia e Turchia sono due Paesi membri dell’Onu, con governi legittimi, indipendenti e sovrani. Quel memorandum è nei nostri diritti. Sinceramente apprezzo i buoni rapporti e la cooperazione che abbiamo con l’Italia e mi auguro s’intensifichino. Però non avevamo alcun dovere nei confronti di Roma. Con la Turchia si negoziava in proposito dal 2004. Chiunque abbia obiezioni può ricorrere alla legge internazionale e in caso all’arbitrato di un tribunale internazionale. Così, del resto, è già avvenuto per i litigi relativi ai diritti sulle acque limitrofe alle nostre coste con Cipro e Malta. C’è stato un arbitrato e i contenziosi sono stati risolti pacificamente. Reputo invece fuori luogo e troppo gridate le proteste greche. Credono davvero che la Libia sia tanto debole? Non accettiamo pressioni o manipolazioni».
Teme una svolta filo-Haftar dell’Italia?
«Di Maio non è riuscito a bloccare l’aggressione militare contro di noi. Questa sarebbe stata l’unica prova di un suo successo ai colloqui di Bengasi. Ciò non toglie che l’Italia abbia tutto il diritto di comunicare con chiunque ed invitarlo a Roma».
La Libia sempre più come la Siria di qualche anno fa?
«Sono anni che lanciamo l’allarme sul pericolo di interferenze militari straniere. Mettevo in guardia sulla guerra per procura ben prima del 4 aprile 2019 e non importa fossero soldati russi, egiziani o altri. Adesso noi siamo accusati di fare arrivare i tank e droni turchi? Scusate ma cosa vi aspettavate dal nostro governo, che sarebbe rimasto in disparte a far nulla mentre la capitale veniva devastata, insanguinata, occupata? Nessun esecutivo responsabile può restare passivo mentre la sua popolazione viene abusata. Chiunque ci critica si chieda prima cosa avrebbe fatto al nostro posto e scoprirà che non avevamo alternative».
Adesso noi siamo accusati di fare arrivare i tank e droni turchi?
La conferenza di Berlino prevista per fine gennaio resta una via percorribile?
«Ci speriamo. Ne ho parlato a lungo con l’inviato dell’Onu, Ghassan Salamé, e con il ministro degli Esteri tedesco. Si vorrebbe tenere un incontro a Berlino per bloccare le interferenze in Libia e quindi subito dopo organizzare dialoghi diretti tra libici. Non so però con quali possibilità di successo. Il problema è che il nostro aggressore prende tempo, continua a parlare di ora zero della battaglia per Tripoli e credere nell’opzione militare. Ci bombarda, spreca risorse immani e nell’Est non costruisce nulla».