Corriere della Sera, 23 dicembre 2019
L’ultima sera di Gaia e Camilla, le due sedicenni morte investite
Camilla e Gaia erano felici.
Avevano progetti.
Avevano 16 anni.
A Natale bisognerebbe raccontare solo storie belle.
Ma questa scena è delimitata da un nastro di plastica bianco e rosso. Argani, carri attrezzi, traffico deviato. Venti minuti dopo la mezzanotte di sabato. Ai vigili urbani è arrivata una chiamata generica: «Incidente a Corso di Francia».
La strada che attraversa Roma Nord. Comincia dove c’è il distributore dell’Agip che il camerata Massimo Carminati, detto «er cecato», aveva trasformato nel suo ufficio e finisce ai Parioli. Due colline ai lati: Vigna Clara e Fleming. Tre semafori e una stradina sulla destra, sotto al cavalcavia dell’Olimpica: trecento metri e sei a Ponte Milvio. Rumore di movida, alcol, droga, luci forti.
Qui invece è quasi buio, gran parte della città ormai è sempre più buia, dai lampioni solo un riverbero giallognolo e piove piano, però fino a poco fa pioveva forte: nessun segno di frenata sull’asfalto bagnato, nessun vetro rotto. Solo una Renault Koleos grigio metallizzato con due ammaccature profonde sul cofano, la targa schizzata sul marciapiede, le quattro frecce accese: e – laggiù – due teli bianchi stesi su due corpi.
Camilla Romagnoli e Gaia Von Freymann avevano 16 anni e tornavano a casa. Probabile fossero un po’ in ritardo: ma tutti, alla loro età, siamo stati in ritardo. Probabile avessero fretta e fossero distratte: ma tutti, alla loro età, siamo stati distratti. Bisogna stabilire se abbiano attraversato sulle strisce o, piuttosto, come sembra da una prima ricostruzione, abbiano scavalcato il guardrail. C’è un semaforo: e non si capisce se, quando hanno attraversato, fosse verde. Testimonianze confuse, verbali, lampeggianti, arriva il magistrato di turno, arrivano gli amici.
Il ragazzo che stanno facendo salire sull’ambulanza è il conducente della Renault: Pietro Genovese, 20 anni; ex studente del liceo Mameli, giocatore di rugby, figlio di Paolo, il regista (due David di Donatello per il film Perfetti sconosciuti). Il ragazzo è sotto shock, gli hanno sequestrato il telefonino per capire se stesse telefonando o spedendo sms, e adesso lo portano al Policlinico Umberto I, dove verrà sottoposto al test che stabilisce se ha bevuto troppo e fatto uso di droga.
All’angolo, un famoso ristorante della zona: T-Bone Station. Testimonianza di Alessio Ottaviano, il direttore: «Poco dopo la mezzanotte, abbiamo sentito un grande frastuono. Pensavamo a un tamponamento, in questo tratto di strada corrono sempre tutti. E invece a terra c’erano quelle due ragazze. Un medico di passaggio è sceso dal suo scooter. Poi è arrivata anche l’ambulanza. Tutto inutile».
Dicono che Gaia si fosse fermata a mangiare un panino proprio in questo locale con Edoardo, il suo nuovo fidanzatino, dopo una serata trascorsa a pattinare all’Auditorium, e che qui si sia unita a Camilla.
Dicono che con loro ci sarebbe dovuta essere anche la loro terza amica, Isabella.
In verità dicono tutti un sacco di cose.
Albeggia così: tra un certo dolore atroce e quel senso di paura tremendo, perché a quelli che hanno una figlia capita sempre di guardare l’orologio e pensare: ma quando torna?
Adesso, in una mattina livida, di vento freddo, i compagni del liceo linguistico De Sanctis portano mazzi di fiori e ricordi. Gaia viveva con la madre Gabriella; il padre Edward, di origini finlandesi, fa il broker assicurativo ed è disabile, per colpa di un incidente con la moto. Camilla viveva a un isolato di distanza. Un’altra famiglia normale, media borghesia: la sorella, raccontano, è disperata e ha come perso la parola.
A metà pomeriggio arriva la notizia che Pietro Genovese sarebbe risultato positivo ai primi test alcolici e tossicologici, e saranno perciò necessari ulteriori esami. Il padre Paolo – «Siamo una famiglia distrutta» – si è visto girare la vita con uno squillo di cellulare. È tutto particolarmente agghiacciante: perché quei cellulari che squillavano pieni di segreti e verità terribili erano lo strepitoso plot del film che lo ha reso celebre in tutto il mondo.
Comincia la sarabanda degli avvocati. Forse qualche certezza sull’esatta dinamica dell’investimento potrebbe arrivare dalle telecamere del magazzino Standa, che domina quel tratto di strada. Un testimone scrive al sito Dagospia: «Ero lì e ho visto tutto. Le ragazze, mano nella mano, volevano attraversare la strada a tutti i costi, nonostante il semaforo fosse verde, in un punto senza strisce. La macchina della corsia centrale ha rallentato per farle passare, ma ha coperto la visuale a quella che sopraggiungeva nella corsia accanto. Sono state catapultate per aria e investite una seconda ed una terza volta da macchine che arrivavano da dietro...».
Dettagli utili per l’inchiesta.
Gli amici di Camilla e Gaia hanno però altri dubbi.
«Ma secondo te, ora, dove saranno?», chiede Luca.
«Forse in cielo, forse no. Però, fidati: sono di certo in un posto fico».
Poi Luca comincia a singhiozzare.
Sono venuti a legare un Babbo Natale di peluche al guardrail.
Ma non è Natale così.