la Repubblica, 22 dicembre 2019
White Christmas raccontata dai figli di Irving Berlin
La canzone più famosa e venduta del pop è nient’altro che una cartolina. La scrisse Irving Berlin (1888-1989), uno dei più grandi compositori americani del Novecento, alla moglie e ai figli. Lui era a Hollywood, travolto da richieste di colonne sonore dopo il trionfo di Cheek to Cheek, che aveva scritto per il film Cappello a Cilindro, con Fred Astaire e Ginger Rogers; loro erano a New York – il maestro non amava coinvolgere la famiglia negli affari di spettacolo. Così nacque quella White Christmas ( Bianco Natale) che il divino crooner Bing Crosby (1903-1977) trasformò nella melodia più eseguita e longeva della storia delle incisioni discografiche. Quest’anno, in occasione delle festività, la Decca ha “rinfrescato” lo storico album Bing at Christmas, che ovviamente contiene anche quel classico, con gli arrangiamenti originali rieseguiti dalla London Symphony Orchestra, la voce rimasterizzata a dovere, la partecipazione dei gruppi vocali Pentatonix e Puppini Sisters e l’aggiunta di quella Little Drummer Boy che Bing cantò con David Bowie nel 1977, pochi mesi prima della morte. «C’ero anch’io in quello spettacolo televisivo in Inghilterra ( Bing Crosby’s Merrie Olde Christmas), avevo diciannove anni», racconta Harry Crosby, classe 1958, il più giovane dei figli del crooner, al telefono da New York, dove lavora come operatore di borsa. «Il termine unplugged non era ancora in voga, ma quello spettacolo fu un antesignano del genere, tutto in diretta e con strumenti acustici. Mi commossi vedendo quei due “ragazzi” che cantavano Little Drummer Boy, una canzone natalizia molto toccante. Non riuscivo a credere che artisti appartenenti a mondi musicali lontanissimi riuscissero a stabilire una sintonia così perfetta».
Ai figli di Irving Berlin non era permesso sguazzare nello show business. «Mio padre era una persona esageratamente schiva, faceva salti mortali per tenere la famiglia lontana dal lavoro e dallo star system. Promuoveva le sue canzoni in maniera molto professionale, senza mai usare stratagemmi da rotocalco per agevolarne il successo. In quegli anni lui non era quasi mai in casa a Natale, e straordinariamente, per la prima volta, doveva essere il 1939, ci mandò delle cartoline usando il verso di una sua canzone che non avevamo ancora ascoltato “May your days be merry and bright…”», racconta al telefono da Parigi, dove vive da mezzo secolo, Linda Louise Emmet, figlia di Irving Berlin, 87 anni e una memoria di ferro. I Berlin, come tutti gli americani, ascoltarono White Christmas nel 1942, quando al cinema fu proiettato La taverna dell’allegria ( Holiday Inn), il film in cui Bing Crosby la cantava insieme a Marjorie Reynolds. «Macché, la Reynolds era del tutto incapace di cantare e fu doppiata, cosa che a tutti noi sembrò scandalosa», rettifica la Emmet, che non ha esitazione ad ammettere che suo padre fu il genio che firmò i successi che hanno esaltato le più belle voci d’America – da Crosby a Sinatra, da Ella Fitzgerald a Judy Garland, da Billie Holiday a Barbra Streisand – canzoni che hanno fatto storia, come God Bless America (dal musical This Is the Army del 1943, con Ronald Reagan), che è diventato per acclamazione popolare il secondo inno nazionale. «Per la verità non è che quel film fosse un capolavoro, e all’epoca tutti pensavano che il brano vincente della colonna sonora sarebbe stato Be Careful It’s My Heart (che fu poi incisa anche da Frank Sinatra con Tommy Dorsey, ndr). Quando mio padre ricevette l’Oscar per White Christmas fu comico. Era lui che quell’anno consegnava la statuetta per la migliore canzone; aprì la busta e rimase di stucco. “I’ve got it”, esclamò, “l’Oscar è mio!”».Harry Crosby è entusiasta del lavoro della London Symphony, ma assai più fiero della grandezza di suo padre. «Tutto sembra nuovo di zecca, la tecnologia fa miracoli, è vero, ma alla fine quello che conta sono la voce e gli arrangiamenti. La cosa che più mi stupisce è che questa canzone si tramandi da una generazione all’altra con una facilità impressionante. La conoscono e la cantano anche i miei figli, che normalmente seguono tutt’altra musica», ci dice Crosby, che prima di lavorare a Wall Street ha tentato anche lui la strada del cantattore.
Ci tiene a precisare che White Christmas, il singolo più venduto degli ultimi 77 anni (50 milioni di copie e 1,8 miliardi di streaming – 18 milioni il giorno 25 dicembre 2018), è solo una delle 2000 canzoni registrate da Bing; che suo padre detiene il record di dischi venduti (oltre un miliardo tra microsolchi, Ep, 45 giri, album e download); che negli Usa ha totalizzato 396 presenze in classifica (41 al primo posto), più di Elvis e Sinatra messi insieme.
Al contrario dei Berlin, i Crosby avevano più familiarità col mondo dello spettacolo. Non di rado il divo coinvolgeva i figli negli spettacoli televisivi (la tv stava operando in quegli anni una rivoluzione pari a quella che Internet avrebbe scatenato mezzo secolo più tardi). «Sono cresciuto partecipando per molte stagioni al Christmas Show di mio padre – da quando avevo sei anni a quando ne avevo diciassette, e lo spettacolo, immancabilmente, finiva sulle note di White Christmas», ricorda Harry Crosby. Era diventata una tradizione familiare. Vivevamo nei pressi di San Francisco (mia madre Kathryn abita ancora nella stessa casa), per questo non vedevamo l’ora di prenderci le vacanze da scuola per volare a Los Angeles. Per noi bambini era una festa che si rinnovava di anno in anno, il privilegio di conoscere i grandi dello spettacolo che partecipavano allo show e di festeggiare il Natale due volte, a settembre negli studi televisivi e a dicembre tutti insieme in casa».
Irving Berlin non si rese immediatamente conto del potenziale commerciale di White Christmas, neanche dopo l’Oscar. La sua carriera era iniziata nei primi del Novecento, dopo un’adolescenza vissuta in povertà – era arrivato a New York con la famiglia di immigrati ebrei russi quando aveva cinque anni. «All’inizio non aveva altra ambizione che quella di sbarcare il lunario», racconta sua figlia. «Chiedeva in giro: “qual è il mezzo più veloce per far soldi?”. E qualcuno gli rispose: “scrivere canzoni, l’editoria musicale genera introiti pazzeschi, specie se hai la fortuna di sfondare alla radio e a Hollywood”.
Era un uomo modesto, una volta scrissero che aveva l’aspetto di un contabile. E in effetti, per necessità, aveva imparato a risparmiare. A causa della morte di suo padre, aveva dovuto abbandonare gli studi a dodici anni per provvedere alla famiglia». Il primo successo di Berlin fu Call Me up Some Rainy Afternoon,
nel 1910, prima che Alexander Ragtime Band, l’anno dopo, lo rendesse celebre in tutto il mondo, Russia compresa; la canzone è stata ripresa in migliaia di versioni, da Bessie Smith a Louis Armstrong, da Bing Crosby a Judy Garland, da Ray Charles ai primi Beatles. A Hollywood, dopo i trionfi dei film con Ginger Rogers e Fred Astaire, era considerato una specie di dio.
«Credo che sia diventato fiero di White Christmas con il tempo, quando a forza di riascoltarla, anno dopo anno, esclamava: “Ho veramente scritto una cartolina di Natale!”», racconta la Emmet. «Aveva ragione, è una canzone molto evocativa. Per quanto mi riguarda l’esperienza più divertente che mi lega a White Christmas risale a quando mia figlia e io, nel 1993, fummo invitate a Tyumen, nella Siberia Orientale, dove pare (ma non ne siamo del tutto sicuri) sia nato mio padre, per l’inaugurazione di una statua in suo onore. Andammo in treno fino a Tolochin, in Bielorussia, che era il paese d’origine della sua famiglia, e da lì a Tyumen. Per l’occasione ci mostrarono un documentario in cui c’era una troika trainata da cavalli bianchi sulla musica di White Christmas. Sapevamo già che quella canzone non conosceva confini, dall’Egitto alle più remote regioni dell’Asia».
Bing Crosby e Irving Berlin: due geni per una canzone che ha generato una manna di diritti d’autore che non ha uguali nella musica leggera, due colonne sulle quali si regge tutt’oggi l’intera struttura dell’entertainment made in Usa (quando morì, a 101 anni, Berlin ancora scriveva canzoni quotidianamente; 1250 sono quelle cantate e catalogate): inimmaginabili le carriere da Sinatra e di tutti gli altri crooner fino a Scott Walker, David Bowie e il clone Bublé senza la scuola dell’obbligo di Bing Crosby.
«Non credo ci sia stato nessuno prima o dopo di lui capace di gestire una carriera per mezzo secolo, dagli anni Venti agli anni Settanta, superando brillantemente il gap di mezzi di comunicazione e tecnologie che andavano radicalmente cambiando», spiega il giovane Crosby. «Fu uno dei primi a cantare col microfono, non più in maniera stentorea come erano costretti quelli della generazione di Al Jolson per farsi udire fino alle ultime file, ma in maniera soffice, confidenziale e intima (da lì inizia la tradizione dei crooner); è diventato una star della radio, di Hollywood, infine della televisione».
«Le dirò, in definitiva io e mio padre non abbiamo mai trascorso un solo Natale senza sentirci vicini», aggiunge la figlia di Berlin. «In qualsiasi parte del mondo mi trovassi c’è sempre stata una White Christmas che durante le feste suonava da qualche parte, nella hall di un albergo, in un ascensore, in un centro commerciale». «L’hanno ricantata dozzine, centinaia, migliaia di artisti», conclude Crosby Jr. «Ne esistono versioni rock, jazz, folk, country e persino sinfoniche, ma l’originale è insuperabile». Un doppio lasciapassare per l’eternità.