Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2019
L’Italia, sempre più povera e sempre più ricca: a fronte di 5 milioni di indigenti, il risparmio gestito cresce a 2.280 miliardi, i depositi bancari a 1.700 miliardi. L’economia sommersa vale 210 miliardi e la ricchezza delle famiglie è da record: 8,4 volte il reddito medio
Paradosso Italia. La politica si affanna a cercare strumenti anti povertà, ma il Paese diventa sempre più campione di ricchezza. Nel mezzo un’Italia polarizzata tra chi ha di più e di meno, tra chi sa di più e chi resta analfabeta funzionale, tra chi ha un lavoro e chi non lo trova. Tra Nord e Sud. Ma anche, e soprattutto, tra chi è nel circuito delle regole e della legalità e chi, invece, resta invisibile in un sommerso sempre più dilagante. Che forse nemmeno più la statistica è in grado di fotografare.
Dove sta nelle tabelle e nei grafici dell’Istat, ad esempio, quel baretto interno all’ospedale di Grumo Appula (Bari) che non pagava né tasse né affitto e il cui gestore percepiva la pensione di cittadinanza? Lo ha scoperto la Guardia di Finanza e lo ha denunciato assieme a 19 funzionari conniventi. E proprio le Fiamme Gialle, non appena hanno attivato i controlli sul reddito di cittadinanza, hanno scoperto irregolarità talvolta nel 60% dei casi. Ma sono ancora indagini sporadiche.
Ma quel baretto di Grumo Appula rischia di essere il miglior selfie dell’Italia informale che si arrangia nel mare del sommerso, in un network parallelo di solidarietà fuori dalle regole e border line, non ancora criminalità vera e propria, ma una sorta di espressione di un diritto di insubordinazione tutto italico.
Alcuni dati, però, restano emblematici e ritraggono un Paese che, a volte, non si vuole vedere. Il risparmio gestito, vale a dire il patrimonio accumulato dalle gestioni collettive e da quelle di portafoglio, è ormai di 2.280 miliardi e quest’anno (dato di novembre) è cresciuto del 13,9%. È un ammontare di ricchezza quasi pari all’intero debito pubblico che, sempre a ottobre, era di 2.447 miliardi.
Gli italiani, in questa nuova era dei tassi negativi e dell’inondazione di liquidità garantita dalle banche centrali a tutto l’Occidente, non smettono di far crescere anche i depositi che sono ormai di oltre 1.700 miliardi, più o meno quanto il Prodotto interno lordo.
Sono dati che usa chi, in Europa, demonizza il nostro debito pubblico per farne al nostro Paese una colpa (shuld in tedesco è sia debito, sia colpa), una reazione quasi più attinente all’etica che non all’economia se si guarda ai dati di contesto, dove quel debito è più che sostenibile. Anche se, naturalmente, deve essere ridotto.
Ma anche l’idea di un Paese ridotto in povertà è fuorviante.
L’Istat certifica 5 milioni di persone in stato di povertà, pari a 1,8 milioni di famiglie. Il reddito di cittadinanza, ben lungi dall’aver eliminato la povertà come era stato accreditato in modo avventato al suo debutto, ha coinvolto poco più di 900mila famiglie, con un assegno medio di 484,4 euro. Tra questi percettori gli occupabili realmente sono solo il 30% e finora, di fatto, solo 28mila persone hanno trovato un lavoro. Il suo ideatore Pasquale Tridico, ora presidente dell’Inps, certifica che questa operazione ha abbassato l’indice di Gini (che rileva la diseguaglianze) dell’1,5%.
In Italia il reddito complessivo è di 1.200 miliardi ed è composto da stipendi e pensioni. La vera sorpresa è nel dato della ricchezza che è composta da immobili, strumenti finanziari, depositi e cash. Un Paese da record con 10mila miliardi, 8,4 volte il reddito, un multiplo che in Europa non ha eguali: la Germania è a 6,5 e Francia e Gran Bretagna sono a 7,9. Nel 2013 quell’indice era ancora più alto a quota 8,7 a farlo scendere ha contribuito in realtà il deprezzamento del valore degli immobili.
Anche perché, come è noto, il 50% della ricchezza degli italiani è ancora concentrata nel proverbiale mattone. L’incertezza è il tratto tipico di questo periodo, stando all’ultimo rapporto Censis, che ha infatti annunciato come il 61% degli italiani non comprerebbe più i BoT, dati anche i rendimenti ridotti al lumicino. Anche le certezze immobiliari tipiche degli italiani, però, hanno vacillato quando – sempre stando al Rapporto Censis – hanno capito di aver perso, in termini reali, il 12,6% del valore in otto anni.
Forse anche per questo sono in aumento le persone che tengono la liquidità non investita, sotto il materasso, vero o virtuale che sia. Prevale l’ansia sul futuro, in questi tempi fatti da una politica ansiogena e dal rimescolamento delle carte globali, induce prudenza e l’attesa messianica di tempi migliori.
L’Italia resta un Paese polarizzato anche se meno che altrove. Il rapporto Oxfam calcola che le 10 persone più ricche del nostro Paese possiedano da sole 100 miliardi. Il 10% più ricco ha aumentato in 30 anni la quota di reddito totale al 29% contro il 50% più povero che l’ha vista diminuire al 24%: ciò che non è cambiato è il 40% intermedio che ha mantenuto le sue caratteristiche di possessore del 47% del reddito totale. È il ceto medio stabilizzatore dell’Italia, un po’ più di 20 milioni di cittadini, che, in parte però, è scivolato nella nuova povertà con il volto dei working poors, i lavoratori poveri: sono il 12% dei lavoratori e guadagnano meno di 8.200 euro l’anno.
Nonostante questo, il Bilancio equo e sostenibile del 2019 illustrato giovedì dall’Istat ha mostrato un miglioramento nel 50% dei 110 indicatori di benessere esaminati nel rapporto: quindi l’Italia si sente meglio, soprattutto negli indicatori economici (lavoro a parte), ma non in quelli relativi alle relazioni sociali che ancora fotografano un Paese incattivito e tendente alla solitudine e al rancore.
Ciò che non torna è la fotografia fiscale dove il 5,3% è la quota di contribuenti che dichiarano più di 50mila euro di reddito annuo e paga quasi il 40% dell’Irpef. E sono poco più di due milioni di cittadini. Oltre 13 milioni di italiani non pagano tasse, ma il ristrettissimo drappello di chi guadagna più di 300mila euro all’anno (38mila contribuenti, pari allo 0,093%) versa il 6% dell’Irpef totale.
Il sommerso è probabilmente ciò che caratterizza l’Italia. Un revival perché il Censis lo scoprì a fine anni 70 e ora lo riesamina con il nuovo paradigma interpretativo del «nero di sopravvivenza» e della «resilienza opportunistica e molecolare»: il sommerso per l’Istat ormai vale 210 miliardi, il 12,4% del Pil. In questo mondo in grigio c’è anche la quota del doppio lavoro che diversi istituti stimano in un 20%. L’idea è che un lavoratore ogni cinque arrotonda lo stipendio per lo più al di fuori dei radar del Fisco.
Il sommerso non è, come potrebbe sembrare, l’economia criminale: per l’Istat il malaffare vale non più di 18 miliardi. È sommerso fatto di comportamenti border line, di zone grigie, di irregolarità elusive e furbesche, forse minute, ma diffusissime che, alla fine, diventano una gigantesca variabile macroeconomica.
Nella fotografia statistica del paradosso italiano è bene inserire anche il gettito totale dell’Irpef 2018 che è di 190 miliardi, quello dell’Iva di 136 e quello Imu-Tasi di 17. Dalle imposte sulle attività finanziarie l’erario incassa 11 miliardi. Il tax gap (l’evasione fiscale) è di 109 miliardi. Coincidenze statistiche: quei 108 miliardi sono quasi uguali ai denari che gli italiani giocano tra videopoker, slot e gratta e vinci (106 miliardi). Non c’è alcun nesso tra le due cifre, ma sono comunque pennellate importanti per ritrarre questa Italia grigia che si arrangia, la patria dell’informalità fuori dalle regole. E probabilmente quel Paese reale si è allargato molto oltre le stesse statistiche. Cambiando anche natura: da popolo di faticatori a popolo di rentier. Forse non è un caso se in 30 anni dieci punti di Pil sono transitati dalla remunerazione del lavoro a quella del capitale. Come ci ricorda Luca Ricolfi nel suo «La società signorile di massa»: ormai chi lavora è meno di chi non lavora e la massa consuma come se fosse l’élite. L’unica spiegazione è che il Paese vive sfruttando altri, gli immigrati innanzitutto. O sfruttando altro, l’evasione fiscale.