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 2019  dicembre 21 Sabato calendario

Indagato per corruzione Marco Jacobini, l’ex presidente delle Pop di Bari

 I rapporti tra i vertici della Banca Popolare di Bari e la Vigilanza di Bankitalia entrano formalmente nell’inchiesta penale sul crac dell’Istituto nella quale, sino ad oggi, erano già dieci gli indagati a diverso titolo per falso in bilancio, false comunicazioni al mercato, ostacolo alla vigilanza, estorsione. Il Procuratore aggiunto Roberto Rossi, i sostituti Lanfranco Marazia e Federico Perrone Capano, hanno infatti notificato a Marco Jacobini, ex Presidente e padre- padrone della Banca, un’informazione di garanzia per corruzione. Atto in cui, allo stato, non viene indicata l’identità del corrotto. Ma di cui Repubblica ha ricostruito il perimetro: la Vigilanza di Palazzo Koch.Tecnicamente, quello notificato a Jacobini, difeso dall’avvocato Francesco Paolo Sisto, è un avviso di “proroga indagini”, che documenta dunque come questo nuovo filone dell’inchiesta risalga all’inizio dell’estate. Nel documento, la Procura si limita alla semplice contestazione del reato, senza specificarne le circostanze di tempo e di luogo, né chi sarebbe stato il destinatario della corruzione o in cosa si sarebbe concretizzata. L’unico dato di fatto che Repubblica è stata appunto in grado di acquisire con certezza, è che gli elementi in forza dei quali l’ex Presidente della Popolare è indagato hanno a che fare con i rapporti avuti nel tempo tra Jacobini e la Vigilanza di Bankitalia. Elementi allo stato indiziari. Sufficienti dunque all’iscrizione del registro degli indagati dell’ex Presidente come corruttore, ma non ancora così solidi per la Procura da dare un nome anche a chi, in Bankitalia, sarebbe stato in ipotesi corrotto.Il passaggio – come evidente – è di particolare delicatezza. E, non a caso, fino a quando il tempo non ha imposto la notifica della proroga di indagini, questo nuovo filone dell’inchiesta è stato protetto da un segreto impenetrabile. Necessario ad avviare una prima serie di accertamenti della Guardia di Finanza – che ora, appunto, proseguiranno per altri sei mesi – e, soprattutto, a non condizionare lo svolgimento delle funzioni della Vigilanza di Bankitalia in un momento cruciale per i destini della Popolare. Parliamo dei mesi tra il giugno di quest’anno (quando è stata avviata l’ultima ispezione di Palazzo Koch e quando Marco Jacobini è stata iscritto nel registro degli indagati anche per corruzione) e il 12 dicembre scorso, quando il Governatore Ignazio Visco ha disposto il commissariamento dell’Istituto.Dunque e di nuovo, la Vigilanza di Bankitalia.Il nodo dell’acquistoChe nei rapporti tra i vertici della Popolare e palazzo Koch, a cominciare dall’acquisizione della decotta Banca Tercas, fosse uno dei nodi cruciali dell’inchiesta sul crac era apparso evidente già all’indomani del commissariamento.Ma non c’è dubbio che adesso, con il sospetto che su questi rapporti possa aver avuto un peso una qualunque forma di corruzione per mano di Marco Jacobini, la questione si faccia ancora più delicata. Non fosse altro perché, gravata da quest’ombra, ora anche la lettura a posteriori di quanto accaduto nel cruciale autunno del 2013 (quando alla Popolare venne concesso di procedere a un’acquisizione cui in quel momento era ancora formalmente inibita) potrebbe trovare risposte diverse da quelle sin qui offerte da Bankitalia. Altro infatti è sostenere che, posta di fronte al dilemma se abbandonare al fallimento l’abruzzese Tercas e i suoi risparmiatori o consentirne il salvataggio per mano di chi non poteva tirarsi indietro (la Popolare), la Vigilanza scelse il male minore, scommettendo su un percorso virtuoso della Popolare e che i vertici della Popolare si erano impegnata a intraprendere. Altro è anche solo immaginare o ipotizzare che nella tolleranza concessa dalla Vigilanza alla dissennata governance della Popolare abbia ballato la promessa o la corruzione piena di chi della Vigilanza faceva parte.I punti fermiNon è evidentemente una domanda cui oggi è possibile dare una risposta. Non fosse altro perché il nuovo filone di inchiesta della Procura di Bari è soltanto nel mezzo del cammino che si è dato e gli elementi di fatto su cui l’ipotesi di corruzione è stata avanzata restano gelosamente custoditi dagli inquirenti. Quelle che al contrario possono essere messe in fila sono invece le evidenze documentali (i verbali delle sedute del Consiglio di amministrazione della Popolare, la corrispondenza tra la Popolare e la Vigilanza) che, oggi, al di là di ogni ragionevole dubbio, consentono di fissare alcuni punti fermi del rapporto che, sicuramente a far data dall’ottobre del 2013, legò Marco Jacobini alla Vigilanza e al suo allora direttore centrale Carmelo Barbagallo ( Repubblica ne ha dato diffusamente conto in questi ultimi giorni).Il primo. Fu sicuramente la Vigilanza della Banca d’Italia a sollecitare, già il 17 ottobre del 2013, l’interessamento della Popolare all’acquisizione di Tercas. E fu sicuramente l’allora presidente Marco Jacobini, che ebbe per altro modo di comunicarlo al Consiglio di Amministrazione, che ritenne quella proposta l’occasione irripetibile per regalare alla Banca il prestigio che non aveva. E che certo non avevano i suoi bilanci. Il secondo. È documentalmente certo il “trade off”, lo scambio, che intervenne tra l’acquisizione della Tercas – costata alla Popolare un aumento di capitale in due fasi per circa 500 milioni di euro – e la decisione della Vigilanza di liberarla della sanzione imposta nel 2010 (il divieto di nuove acquisizioni). E questo, nonostante l’esito dell’ispezione del 2013 avesse sostanzialmente confermato i buchi di governance della banca già rilevati tre anni prima.Il terzo. I verbali del Consiglio di amministrazione della Popolare dimostrano che l’avvio della procedura di acquisizione della Tercas cominciò almeno sei mesi prima che la banca ricevesse il formale via libera dalla Vigilanza. E che tutto questo avvenne nella piena consapevolezza degli ispettori.Il quarto. È un dato di fatto che, fino agli ultimi giorni prima del commissariamento, i vertici della Popolare fossero sicuri che alla banca sarebbe stata data una nuova prova di appello da parte della Vigilanza. Dove risiedesse tanta sicumera, non è dato saperlo. Certo non nei bilanci (se è vero come è vero che lo stesso Governatore Visco, nella sua delibera di commissariamento, segnala come la Popolare avesse chiesto urgentemente nuova iniezione di liquidità a un capitale di garanzia ormai sotto i limiti di guardia). Dove, dunque? E in ragione di cosa? O di quali rapporti?Capiremo presto dove arriverà l’inchiesta della Procura. In ogni caso, oggi una cosa è certa. Della caduta degli Jacobini (padre e figli) e di Vincenzo De Bustis Figarola non abbiamo visto ancora nulla. La faccenda promette di camminare assai. Soprattutto ora che la rete dei silenzi e dei ricatti è stata lacerata.