Corriere della Sera, 21 dicembre 2019
Le nomine di Franco e Cipollone
Le nuove nomine, se lo si fosse ritenuto necessario, avrebbero potuto aspettare. Il Consiglio superiore della Banca d’Italia aveva l’opzione di ritardare di una decina di giorni la designazione di Daniele Franco come direttore generale e di Piero Cipollone come vicedirettore generale dell’istituto. Giusto il tempo perché si depositasse la polvere e il ciclo della politica gridata si spostasse su un altro terreno. Magari solo una settimana in più, per aspettare che il dissesto della Popolare di Bari uscisse dai titoli della sera.
Che la Banca d’Italia non abbia scelto un profilo deliberatamente basso, già in sé, è un messaggio: nell’istituto non si pensa di avere qualcosa da farsi perdonare e nessuno ha intenzione di dissimularsi, cercando di far sì che le nomine passino inosservate. Da ieri diventa sicuro anche formalmente che il primo gennaio Fabio Panetta, direttore generale uscente, entrerà nel comitato esecutivo della Banca centrale europea. Entro quel giorno la Banca d’Italia ha bisogno di un successore e il momento ovvio per designarlo era ieri. Ignazio Visco, il governatore, ha svolto vari sondaggi nel governo nei giorni scorsi e ha già fatto sapere al Quirinale che non sono emerse riserve. Significativamente Daniele Franco, bellunese, ieri ha ricevuto le congratulazioni pubbliche del governatore leghista del Veneto Luca Zaia. Difficile adesso che i 5 Stelle sorpassino la Lega in quanto a opposizione al loro stesso governo; tra l’altro i rapporti si sono distesi rispetto a un anno fa, quando Franco era Ragioniere dello Stato. Quanto a Cipollone, è stato a lungo consigliere economico del premier Giuseppe Conte, accettato da tutti in quella veste; sarebbe strano se ora qualche partito della maggioranza cercasse di opporsi.
La procedura di designazione del resto non dà al governo un potere di veto: per i nomi del direttorio di Banca d’Italia (salvo quello del governatore) il Consiglio dei ministri è chiamato solo a dare un parere non vincolante e a trasmetterlo al presidente della Repubblica. Poiché il Quirinale può validare da designazione degli organi interni di Banca d’Italia malgrado un parere negativo del governo, la maggioranza giallo-verde a primavera scorsa aveva preso un’altra strada per ostacolare la nomina di Alessandra Perrazzelli nel direttorio. Per mesi il governo si era rifiutato di discutere la proposta, per poi cedere e farla passare.
Resta però la tela di fondo, molto tesa: di rado nella storia della Repubblica la Banca d’Italia è stata così isolata e sotto attacco da parte del potere politico. L’intervento per tenere in vita la Popolare di Bari è solo l’ultimo episodio di una caccia al colpevole che nei dissesti parte sempre, con una buona dose di ipocrisia. A difesa dei manager dell’istituto pugliese, negli ultimi mesi e anni i banchieri centrali hanno dovuto ascoltare molti interventi di politici che ora se la prendono con l’autorità di controllo. Da destra come da sinistra. Gli Jacobini, la famiglia che da decenni gestiva la Popolare di Bari come un proprio feudo, non hanno mai trattato troppo rudemente i pugliesi che hanno assunto rilevanza nella politica nazionale. Di sicuro non ha criticato per tempo la gestione della Popolare di Bari il ministro Francesco Boccia (Pd). Non lo ha fatto l’ex governatore forzista – ora a Fratelli d’Italia – Raffaele Fitto. Né lo ha fatto il governatore di sinistra Michele Emiliano. Niente di tutto questo significa che non debba cambiare nulla, anche dentro la Banca d’Italia. È probabile che l’isolamento rispetto al mondo politico induca nei prossimi mesi l’istituto a cercare più contatti con l’opinione pubblica. Ed è inevitabile che questi anni inducano la banca a rafforzare le strutture dedicate alla tutela del risparmio. Non è una funzione che spetti per legge in primo luogo alla Banca d’Italia, ma gli attacchi per le perdite subite da azionisti e obbligazionisti sono rivolti a lei. Da qui l’idea di fornire una risposta con modifiche ad hoc alla struttura istituzionale dell’autority.