Corriere della Sera, 22 dicembre 2019
Aste deserte per gli impianti dove non nevica più
L’asta è andata deserta quattro volte, nonostante i ribassi. E alla fine a salvare gli impianti di risalita della val Carisole è stato il comune di Carona, nella Bergamasca, che ha acquistato il ramo d’azienda della Brembo Super Ski in fallimento per circa un milione e mezzo di euro. Soldi erogati dalla Regione Lombardia, che in parte rientreranno grazie all’affitto delle seggiovie, ma comunque ricadranno sui contribuenti: per non far saltare la stagione non c’erano però alternative. Altrimenti il comprensorio della val Carisole si sarebbe aggiunto agli altri venti impianti sciistici già dismessi nella sola Lombardia.
Un destino comune a tutto l’arco alpino, costellato com’è di resort, carcasse di funivie e skilift abbandonati: 40 in Val d’Aosta, altrettante in Piemonte, 35 in Veneto, 25 in Friuli, senza contare tutte quelle lasciate marcire sugli Appennini, dalla Liguria alla Calabria. Scheletri arrugginiti, tralicci che sono come la testimonianza di una guerra persa dall’uomo per inseguire un sogno impossibile: sciare a mille metri di quota al tempo del cambiamento climatico.
A mettere insieme tutti i censimenti degli impianti di risalita abbandonati, realizzati in questi anni da Mountain Wilderness, Lega Ambiente e Cipra, Commissione internazionale per la tutela delle Alpi, si arriva quasi a contarne 200. Duecento cimiteri di montagna che sono un monumento della miopia degli amministratori locali, nell’illusione di rilanciare delle zone depresse puntando sullo sci da discesa.
Le temperature
La stagione sciistica ridotta di 38 giorni in 50 anni: aumento record delle ore di sole
«Registriamo inverni più caldi dalla metà degli anni ‘80, ma all’epoca le comunità di montagna non erano così dipendenti dal turismo sciistico», osserva il ricercatore austriaco Robert Steiger. Perché in quota l’effetto serra è due volte più forte che a valle, così che nel giro di un secolo le temperature sulle Alpi si sono alzate di due gradi, e le ore di sole hanno raggiunto un record storico e unico al mondo, aumentando del 20 per cento. Con il risultato che anche la stagione sciistica si è ridotta di 38 giorni in appena mezzo secolo. Secondo Christoph Marty, dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe di Davos, di questo passo entro la fine del secolo, rischia di non esserci più neve al di sotto dei 1.200 metri di quota, e di essercene ben poca anche sotto i 1.800 metri.
Tenuto conto che in Friuli, ad esempio, la stazione più in alto, Sella Nevea, si trova a 2.100 metri, è fin troppo prevedibile la fine che faranno questi impianti. E tuttavia, a dispetto dell’accelerazione conosciuta negli ultimi anni dall’aumento delle temperature, la Regione ha continuato a investire risorse per garantire la stagione. Per innevare artificialmente il comprensorio di Piancavallo sono stati così realizzati due laghetti artificiali, che prelevano l’acqua da Barcis, 800 metri più a valle. E sì, perché il 100% delle piste in Friuli dipende già oggi dalla neve sparata dai cannoni, e altrove non è che sia molto diverso: la quota di innevamento artificiale mediamente è in Italia dell’80% circa, stimano Claudia Apostolo e Vanda Bonardo di Lega Ambiente. Con un costo per metro cubo che si attesta intorno ai 2,30 euro.
A pagare sempre i contribuenti. Anche quando la Regione Abruzzo stanzia 50 milioni per permettere ai turisti di sciare a Cappadocia, borgo della Marsica a poco più di 1.000 metri di quota. Non importa che la neve sparisca con le prime piogge. A Natale bisogna sciare, anche se il termometro segna 15 gradi.