La Stampa, 22 dicembre 2019
La lotta contro Trump di Nancy Pelosi
L’impeachment contro Donald Trump votato dalla Camera dei Rappresentanti di Washington è il terzo della Storia negli Stati Uniti ma è soprattutto il primo a coincidere con una campagna elettorale per la Casa Bianca, ed è proprio quest’ultimo aspetto che ci aiuta a comprendere meglio cosa sta avvenendo dentro la Beltway di Washington.
La protagonista dell’offensiva sull’impeachment è Nancy Pelosi, speaker della Camera, terza carica dello Stato nonché leader più autorevole e rispettato del partito democratico. A dispetto dei suoi 79 anni, Pelosi è il volto che dà più fiducia ed energia ai democratici perché nel 2018 ha guidato la riconquista della Camera nelle elezioni di Midterm ed ora costituisce un raro punto di mediazione fra le opposte anime del partito: i centristi moderati eredi dell’amministrazione Clinton e la sinistra radicale che punta a schierare i liberal su posizioni estreme – anti-business ed anti-sicurezza – in maniera analoga a quanto fatto da Jeremy Corbin con il partito laburista in Gran Bretagna.
Nancy Pelosi è consapevole che tale lacerazione interna rischia di far implodere i democratici nella campagna delle primarie che inizierà a febbraio in Iowa e dunque punta a sanarla con la carta dell’impeachment di Trump perché se c’è un tema che unifica i «democrats» è l’avversione viscerale a questo presidente. Ma non è tutto perché la gestione dell’impeachment da parte di Pelosi – non trasferire la richiesta al Senato a maggioranza repubblicana fino a quando non vi saranno le garanzie di un «processo equo» – mira ad innescare una spaccatura nel «Grand Old Party» fra i fedelissimi del presidente e quei conservatori che non lo hanno mai amato né sostenuto.
Ovvero, chiedere un «processo equo» al Senato significa cercare almeno quattro repubblicani pronti a chiedere modalità di svolgimenti tali da impedire al leader della maggioranza Mitch McConnel di respingere l’atto d’accusa a Trump con una rapidità tale da liquidare l’impeachment come un’aggressione politica del tutto infondata.
Il braccio di ferro fra Pelosi e McConnell dunque è il vero momento di inizio della campagna presidenziale 2020: la Speaker democratica vuole un impeachment al rallentatore per far emergere le divisioni intra-repubblicane allontanando da Trump una dose strategica di suoi elettori mentre McConnell punta all’esatto opposto, compattare il partito davanti ad un rapido «no all’impeachment» della maggioranza dei senatori repubblicani.
È uno scenario che ci suggerisce quanto, al momento, Trump resti in vantaggio nella corsa alla rielezione – soprattutto a causa del buon andamento dell’economia – e dunque alla Pelosi non resti che la carta di dividere i repubblicani attorno ai dubbi sulla moralità politica del presidente.
Ma non è tutto perché la strategia di Pelosi si basa anche sul fatto che i democratici riescano ad esprimere un candidato alla Casa Bianca capace di intercettare eventuali voti in fuga negli Stati più in bilico, dal MidWest al Sud fino agli Appalachi. Da qui l’attenzione non solo per Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama, ma anche per il sindaco di South Band, in Indiana, Pete Buttigieg, ed in misura minore per Amy Klobuchar, avvocato dei contadini in Minnesota. Obama ha scelto di dare manforte a Pelosi ammonendo i democratici a «non scivolare troppo a sinistra» e la candidatura dell’ex sindaco di New York Mike Bloomberg – forte delle sue ingenti fortune – mette a disposizione del campo moderato risorse di entità non indifferente. Saranno le primarie di febbraio in Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina a dire se la strategia di Pelosi riuscirà a favorire l’emergere di un candidato moderato a scapito dei volti più radicali ancora in campo – i senatori Bernie Sanders ed Elizabeth Warren – aprendo al tempo stesso un fronte interno ai repubblicani capace di spostare voti decisivi nell’Election Day negli Stati in bilico. Di certo tutto ciò conferma che Pelosi vuole evitare ai democratici di finire come il Labour di Corbin: travolto dall’avversario a causa della scelta di posizioni di estrema sinistra lontane dalla maggioranza degli elettori.
Ma non è tutto perché Nancy Pelosi, che già nelle elezioni di Midterm del 2006 si affermò come il regista dei «cowboy democratici» capaci di strappare ai repubblicani gli elettori più moderati, deve guardarsi da un altro rischio: il fuoco amico di Hillary Clinton e Michelle Obama. Se infatti dalle primarie non uscisse un candidato vincente, secondo il tam tam dei salotti di Georgetown, le due ex First Lady potrebbero essere tentate di puntare sulla Convention di luglio a Milwaukee, Wisconsin, per riuscire ad ottenere una nomination a sorpresa. Tanto basta per farci comprendere che la campagna presidenziale 2020 si annuncia come una delle più imprevedibili.