1 – IL DC ANTICOMUNISTA CHE VOLEVA ABOLIRE CORSO UNIONE SOVIETICA, 21 dicembre 2019
ROSSO DI SERA – CHI È, CHI NON È E CHI SI CREDE DI ESSRERE ROBERTO ROSSO, L’ASSESSORE PIEMONTESE ARRESTATO CON L’ACCUSA DI VOTO DI SCAMBIO POLITICO-MAFIOSO – L'IRA DELLA MELONI: "MI VIENE IL VOLTASTOMACO" – NEL 2001 STAVA PER DIVENTARE SINDACO DI TORINO: VOLEVA CAMBIARE NOME A CORSO UNIONE SOVIETICA E CHIUDERE I CENTRI SOCIALI – LE INTERCETTAZIONI IN CUI I SOLDI DIVENTANO CARAMELLE E L’INTERPELLANZA DEL 2012 SU UNA COMPRAVENDITA DI VOTI. SETTE ANNI DOPO… – VIDEO -
Andrea Rossi per “la Stampa” Nell' ordinanza firmata dal giudice Giulio Corato c' è un passaggio che meglio di ogni aneddoto svela chi è Roberto Rosso. Un politico che nel 2012 firma una interpellanza parlamentare su una presunta compravendita di voti legata alla 'ndrangheta e sette anni dopo «ricompare in fotografia ad accogliere nel proprio ufficio elettorale, con larghi sorrisi» le stesse persone, stavolta pronte ad aiutare lui a fare scorta di preferenze. Che potendo scegliere a quale gruppo rivolgersi, opta per chi promette una dote più generosa. E alla fine è pure insoddisfatto, si sfoga al telefono e non vuole saldare il conto, quando scopre che le preferenze garantite non sono arrivate: «No no guarda, ho verificato. Buffoni, farabutti, dei cacciaballe incredibili».
Sornione, la battuta sempre pronta, un vecchio liberale cresciuto nella Dc e plasmato alla corte di Berlusconi, di quelli che si imbufaliscono per certi articoli di giornale ma il giorno dopo incontrano il cronista e abbozzano, ché tanto è un altro giorno. Rosso è così. Cinquantanove anni, pronipote di san Giovanni Bosco, avvocato anche se la professione l' ha esercitata a sprazzi. A 19 anni era già era già consigliere comunale, a Trino Vercellese, la sua roccaforte. È stato vice sindaco, cinque volte parlamentare, due sottosegretario. Scomparsa la Dc ha solcato tutto l' arco costituzionale del centrodestra: Forza Italia, Pdl, Futuro e Libertà, di nuovo Forza Italia, Conservatori e Riformisti, Direzione Italia, Noi con l' Italia, Fratelli d' Italia.
Nel 2001 per poco non è diventato sindaco di Torino. Per Silvio Berlusconi era la persona giusta per strappare la città dalle mani dei «comunisti». E lui l' aveva preso in parola: prometteva di cambiare nome a corso Unione Sovietica, chiudere i centri sociali. Anche una certa Torino l' aveva preso sul serio: il mondo della musica e della cultura organizzò un enorme concerto in piazza Castello poco prima del voto. «Torino è la mia città e non voglio perderla»: c' erano proprio tutti, a cominciare dai Subsonica. L' obiettivo era sbarrargli la strada; alla fine vinsero Sergio Chiamparino e l' allora Pds, ma solo al ballottaggio e di poco, 30 mila voti.
Da quel giorno a Torino il centrodestra ha racimolato solo briciole. Berlusconi dei «comunisti» non parla più, Rosso invece non ha mai smesso. «Se non sei di sinistra vota Rosso»: alle ultime regionali, sette mesi fa, si è presentato così. Era appena entrato in Fratelli d' Italia. Aveva deciso di tornare in Regione e il partito di Giorgia Meloni era il cavallo giusto: una classe dirigente formata alla vecchia scuola di Alleanza Nazionale ma molto litigiosa, un bacino elettorale in rapida espansione. La sintesi perfetta per chi ha fiuto, entrature e un budget elettorale quasi illimitato.
Risultato: primo degli eletti con oltre 4 mila preferenze. In Regione era già entrato nel 2010, da vice del presidente leghista Roberto Cota. Era durato pochi mesi: essendo anche deputato, le cariche erano incompatibili e i rapporti con Cota difficili. Il suo passo d' addio fu, al solito, pirotecnico: «Le Regioni sono una fogna», disse in tv difendendo i parlamentari da chi li accusava di essere casta. E giù a raccontare in diretta di quegli ex colleghi che andavano a farsi la settimana bianca facendosela rimborsare dalla Regione. I magistrati di Torino annotarono tutto: due anni dopo la giunta Cota era caduta. Anche a causa sua.
Alberto Cirio avrebbe fatto volentieri a meno di averlo nella sua squadra. Una mina vagante. Inaffidabile, volubile. Ieri l' ha anche ammesso, confessando tutta la propria impotenza davanti alle scelte dei leader del centrodestra. Anche Giorgia Meloni l' ha scaricato in un amen: e dire che era stata proprio lei, con i suoi colonnelli, soprattutto romani, a imporlo a Cirio. Rosso, da uomo di modo qual è, non gliene vorrà.
2 – GLI EURO COME CARAMELLE "TRE LE HA GIÀ DATE MA NE MANCANO CINQUE" Giuseppe Legato per “la Stampa”
«Un novello Didio Giuliano». Così è chiosato negli atti dell' inchiesta torinese Roberto Rosso, paragonato all' imperatore romano che regnò per pochi mesi, dopo aver comprato all' asta l' impero dai pretoriani che lo vendevano al migliore offerente.
Rosso, invece, per conquistare il suo impero regionale, ha promesso 15 mila euro «da corrispondere in tre tranche da 5 mila». Alla fine ne ha versati 7900. Con un po' di livore per giunta. Perché all' indomani dei risultati elettorali, i suoi interlocutori, ben inseriti nella criminalità organizzata, non avevano portato in dote quel carico sperato di voti. Diventato consigliere regionale di Fratelli d' Italia con 4806 preferenze, il giugno scorso, pochi giorni dopo la proclamazione, Rosso viene contattato al telefono da Francesco Viterbo, indicato come «elemento di spicco» della 'ndrangheta in Piemonte. «Auguri ... Domani ci pigliamo un caffè?» dice al neo consigliere. Una telefonata che sa di «richiesta di riscossione», ritengono gli investigatori della Finanza.
Rosso però mirava a uno sconto. Aveva già versato un acconto di 2.900 euro prima del voto. Così prende tempo: «Sì, però dopo che si sono chiusi gli assessorati ... Mi telefoni tra due settimane». Viterbo non la prende bene. Sempre al telefono, Rosso si lamenta con la sua amica l' imprenditrice Enza Colavito, intermediaria in questo oscuro menage. «No, guarda - sbotta - ho verificato, sono dei cacciapalle incredibili, non ho niente da dirgli». L' esponente di Fratelli d' Italia - sempre secondo le accuse - è convinto che di voti, da quella parte, non gliene siano arrivati così tanti. Comincia così un frenetico scambio di telefonate, trattative e tentativi di compromesso.
La tensione cresce e la Colavito si sente presa in mezzo: l' altro intermediario, Carlo De Bellis, la avverte che i creditori sono «persone molto rispettose» ma «il problema è che con loro devi essere precisa in tutti i discorsi». Il 12 giugno Rosso incontra la donna in un bar. L' imprenditrice, subito dopo, telefona a De Bellis per fargli sapere la proposta del politico. I soldi diventano «caramelle», nel loro dialogo. «Cinque ... tre caramelle le han già prese ... Provo a dirglielo. Sennò ognuno per la sua strada. Io più di così ...». Il 13 giugno Viterbo chiama Colavito e dice che va bene: «Faccio questo favore a te, non preoccuparti». Ma poi sottolinea che Rosso «si è comportato male, credimi, un comportamento da schifo».
Difeso dal legale Maurizio Basile, Rosso è stato rinchiuso nel carcere di Torino; sarà trasferito nel penitenziario di Asti. E pensare che uno dei destinatari dei soldi è Onofrio Garcea, di cui Rosso si era occupato da parlamentare nel 2012. Sottoscrivendo l' interpellanza 2/01491 insieme a diversi deputati. I firmatari chiedevano al governo di riferire in merito alla nomina di Pasquale Antonio Gioffrè quale Prefetto di Lodi. «Nell' atto - annota il gip - si faceva riferimento al fatto che Gioffrè compariva tra i fondatori di un' associazione di immigrati calabresi in Liguria denominata Città del Sole insieme a una serie di soggetti coinvolti in inchieste antimafia e voti di scambio a partire dal presidente Salvatore Ottavio Cosma.
Quest' ultimo - si legge agli atti all' interno dell' interpellanza risultava da un' inchiesta della Gdf quale uomo di contatto tra politica ligure e 'ndrangheta». Tra questi c' era anche Onofrio Garcea. Per gli investigatori ciò dimostra «la piena consapevolezza» della natura degli interlocutori. Garcea e Viterbo rientrano nella galassia delle 'ndrine di Vibo Valentia, famiglia Bonavota, falcidiate nel torinese dalla recente operazione Carminius. E proprio per serrare le fila della 'ndrina, Garcea sarebbe rientrato mesi fa da Albenga, dove aveva soggiornato per anni in attesa di giudizio al processo «Maglio», in cui è stato condannato finora in appello a 7 anni di carcere per «rimettere in piedi» l' organizzazione. Di nuovo azzoppata dalla procura.