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 2019  dicembre 21 Sabato calendario

QUELLO CHE GUARISCE PUÒ ANCHE UCCIDERE – LE POZIONI PREISTORICHE, IL FAMIGERATO OMBRELLO BULGARO E GLI UNGUENTI DELLE STREGHE: UN MONDO DI VELENI IN MOSTRA AL MUSEO ATESTINO DI ESTE – DAL PHÁRMAKON GRECO AGLI SCORPIONI CHE PUNGONO LA FEMMINA PRIMA DELL’ACCOPPIAMENTO. L’AMBIGUITÀ TRA CURA E VELENO LETALE ACCOMPAGNA DA SEMPRE LA STORIA DELL’UOMO -

«Tutto è veleno: nulla esiste che non sia velenoso». La frase di Paracelso, medico rivoluzionario, alchimista rinascimentale, filosofo della natura, è tra i suoi aforismi più citati. Ma per comprenderlo bisogna seguire lo sviluppo del suo pensiero. Il precursore della moderna farmacologia infatti aggiungeva che è la dose che distingue la medicina dal veleno.

Quello che guarisce può anche uccidere. «L' ambiguità, o meglio la triplicità, è ben espressa dalla parola phármakon, che in greco antico indica sia un veleno sia una medicina o una pozione magica» spiega Federica Gonzato, direttrice del Museo Archeologico di Verona e co-curatrice, insieme con Chiara Beatrice Vicentini, della mostra «Veleni e magiche pozioni» al Museo Nazionale Atestino di Este (fino al 2 febbraio 2020).

Un esempio perfetto è il veleno dello scorpione (nella mostra c' è un amuleto di diaspro di epoca romana imperiale che reca incisa l' immagine dell' artropode e il fossile di un esemplare preistorico dal giacimento della Pesciara di Bolca) usato dall' animale per paralizzare e uccidere le prede e da secoli impiegato come antidolorifico nella medicina tradizionale. Gli scorpioni sudafricani maschi del genere Hodogenes pungono sul fianco la femmina prima dell' accoppiamento, iniettando piccole quantità di veleno con un effetto non si sa se sedativo o afrodisiaco.

L' ambiguità continua: siamo tra il filtro d' amore e la droga dello stupro. Il farmaco-veleno accompagna da sempre la storia dell' uomo. Le due curatrici ne hanno rinvenuto - e esposto - le tracce dalla preistoria ai nostri giorni, negli impasti di propoli rinvenuti nelle sepolture mesolitiche di Villabruna e Mondeval, sulle Dolomiti, che aprono il percorso della mostra, fino alla pubblicità di saponette radioattive nei manifesti degli anni 20 del secolo scorso. Tutti, dalla cicuta di Socrate al curaro delle frecce delle tribù della foresta amazzonica, hanno proprietà curative e, insieme, mortali. Oggi, come al tempo di Paracelso, veleni e antidoti si celano nelle pieghe della vita quotidiana.

Un caso recente è quello della contaminazione nella sintesi delle molecole di medicine dalla produzione globalizzata. «Il veleno è sfuggente. Erano velenose le tubature di piombo degli antichi romani. E c' era veleno in molta cosmetica, dal belletto settecentesco alla tintura per capelli.

D' altra parte troviamo ingredienti potenzialmente tossici descritti nei libri di magia rinascimentale, come quelli che abbiamo in prestito dalla Biblioteca Ariostea di Ferrara: per esempio, gli unguenti allucinogeni delle streghe citati dal filosofo Giambattista Della Porta nel suo Magiae naturalis.

Ragiona Chiara Beatrice Vicentini, storica della farmacia: «All' Università di Ferrara, agli inizi del 1500, studiano Paracelso e Copernico. Ludovico Ariosto pubblica l' Orlando furioso in cui manda il paladino Astolfo sulla Luna a recuperare il senno di Orlando». Contenuto, guarda caso, in un' ampolla: «Un liquor sottile e molle», molto simile a una pozione.

Qualche anno dopo è a Ferrara Pedro Castano, medico spagnolo in servizio presso gli Estensi: aveva preparato una ricetta segreta a base di olio di scorpione per un elisir contro la peste e vari veleni. Al contrario, fu forse una cura sbagliata a base di digitale a uccidere Cangrande della Scala, signore di Verona: la polvere estratta dalla pianta in dosi eccessive può avere effetti letali.

Il phármakon è legato alla nascita del pensiero simbolico: l' ocra usata nel Paleolitico per tinture antisettiche è la stessa delle prime figure graffite sulla roccia dai Sapiens e dai Neandertal. Il veleno è radicato nel mito: dalla tunica intrisa del sangue avvelenato del centauro Nesso che fece impazzire Eracle per il dolore dopo averla indossata; allo sguardo pietrificante della Medusa che diventa l' emblema protettivo sullo scudo di Atena.

È l' arma più romanzesca, perché possiede le stesse articolazioni e sfumature del linguaggio. In letteratura, Shakespeare fa versare il velenoso hebenon nelle orecchie del padre di Amleto da Claudio, mentre le parole sussurrate di Jago fanno impazzire di gelosia Otello. Chi ne fa un uso spericolato è Dumas padre, in particolare nella Regina Margot e nel Conte di Montecristo, con l' inclusione di potenti sonniferi e veleni nei guanti, nel rossetto e sulle pagine di un libro, espediente narrativo che ritorna nel Nome della rosa di Umberto Eco.

Ma la realtà storica non è seconda alla finzione narrativa. Soprattutto in Oriente, patria di Mitridate, l' arcinemico della repubblica romana, che aveva imparato a calibrare l' uso e le dosi dei farmaci, così da rendersi immune da ogni veleno.

I califfi e i visir islamici ne erano talmente ossessionati da pagare fortune per servizi di piatti di ceramica celadon, prodotta in Cina, che aveva la fama di cambiare colore in caso di pietanze avvelenate. In Giappone gli inro, i portamedicine, erano accostati a figurine di corallo che avrebbero dovuto rivelare la presenza di sostanze tossiche, spaccandosi. Nell' India medievale hanno origine gli anelli portaveleno, che si diffonderanno nell' Europa del XVI secolo: a confermarne la natura ambigua, negli scomparti segreti si tenevano anche reliquie religiose e medicinali.

I veleni non si fermano con il progredire della tecnologia, diventano radioattivi, come il polonio nella tazza di tè che uccise l' ex spia russa Alexander Litvinenko. Non poteva esserci, però, nella mostra di Este, uno dei più micidiali artefatti legati all' uso del veleno: il famigerato «ombrello bulgaro» in grado di sparare piccoli proiettili carichi di letale ricinina. Ritenuta l' arma usata dai servizi segreti bulgari per eliminare lo scrittore dissidente Georgi Markov, non è stata mai ritrovata.