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 2019  dicembre 20 Venerdì calendario

L’impeachment fa crescere Trump nei sondaggi

 Il giorno dopo, la rabbia è ancor più feroce. Mitch McConnel, capo della maggioranza repubblicana al Senato, sostiene che i democratici sono «bugiardi e fifoni», e questi a loro volta lo tacciano di essere «un ipocrita in mala fede». Dal canto suo Trump, mentre Putin parla di «accuse totalmente inventate», ha finto ieri di essere indifferente al fatto di essere stato messo in stato di accusa dalla Camera, e ha definito l’impeachment «una truffa» ideata dai democratici per cancellare il risultato delle elezioni del 2016.
IL TERZO PRESIDENTE
Diventato il terzo presidente a essere messo in stato di accusa dalla Camera, Trump privatamente sarebbe in preda a un rancore cocente contro i democratici che sono alle sue calcagna fin dal giorno delle elezioni. Ma in pubblico cerca di nascondere la rabbia ricordando che sicuramente i senatori repubblicani lo assolveranno e che l’impeachment lo aiuterà a vincere la rielezione nel novembre 2020, tant’è che il suo tasso di approvazione ha «sforato il soffitto». Al solito il presidente ricorre a iperboli, ma è vero che nei sondaggi il suo tasso di approvazione è salito di un paio di punti a una media del 44,5 contro il 52 per cento del tasso di disapprovazione. Ed è anche vero che gli americani rimangono quasi esattamente divisi sulle conclusioni dell’impeachment: il 47 per cento lo vuole «licenziare», mentre un altro 47 per cento lo vuole mantenere al suo posto. Tuttavia un buon 70 per cento della popolazione chiede che al Senato si tenga un processo «equo». Ma è proprio su questo punto che continua la guerra. Come vuole la Costituzione, la Camera ha indagato sull’Ucrainagate, ha raccolto prove e redatto i capi di accusa di abuso di potere e ostruzione del Congresso, e adesso due deputati (definiti i manager dell’impeachment) dovrebbero illustrare il caso al Senato, dove di fatto si terrà il processo. Tuttavia nei giorni scorsi Mitch McConnell ha annunciato senza peli sulla lingua: «Non sarò imparziale». Non ha fatto cioè neanche un tentativo di apparire obiettivo. La presa di posizione del capo della maggioranza repubblicana non ha stupito granché, considerato il suo curriculum politico di assoluta fedeltà a Trump. Appellandosi però a queste prese di posizione, la speaker della Camera Nancy Pelosi ieri ha comunicato che intende aspettare prima di trasferire al giudizio del Senato i due capi di accusa contestati al presidente. La speaker si è espressa vagamente sui motivi del ritardo, ed è stata ipotizzata l’idea che voglia ascoltare l’ala sinistra del partito e mantenere Trump in un prolungato purgatorio, senza garantirgli la veloce scontata assoluzione dei senatori. La signora ha solo spiegato che prima di nominare i manager dell’impeachment ha bisogno di sapere che tipo di processo McConnell intenda condurre. La spiegazione è legittima, ma è anche chiaro che i democratici usano questa carta per tentare di convincere McConnell a chiamare quei testimoni che la Camera non è riuscita a smuovere, quei consiglieri della Casa Bianca che sono bene informati dei fatti dell’Ucrainagate ma ai quali Trump ha vietato di testimoniare.
IL BRACCIO DI FERRO
Il braccio di ferro fra le due Camere promette di arroventare i giorni pre natalizi, mentre un bel gruppo di deputati democratici avrebbe preferito vedere la questione risolta velocemente. Varie decine di democratici moderati, alcuni provenienti da distretti pro-Trump, hanno votato giovedì «secondo coscienza», incriminando il presidente, anche se il voto può costar loro la rielezione. Il prolungamento e l’inasprimento della lotta non può che peggiorare le loro prospettive, a meno che non succeda specularmente che al Senato qualche senatore repubblicano più moderato, che a sua volta rischia di non essere rieletto, non ottenga da McConnell quel che Nancy difficilmente otterrà, e cioè un processo almeno formalmente imparziale.