Libero, 20 dicembre 2019
Vittorio Emanuele III, il re con il pennello
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Secondo Degas «il disegno è l’espressione più diretta e spontanea dell’artista: una specie di scrittura che rivela – meglio della pittura – la sua vera personalità». Ecco perché rivestono un interessante valore documentale i disegni da poco ritrovati e che vi presentiamo in esclusiva: sono i lavori del giovane Vittorio Emanuele III di Savoia, da lui realizzati tra i dodici e i diciotto anni di età. Un carattere schivo, diffidente e malinconico quello del “Re soldato”, amante di discipline “da biblioteca”, come storia, geografia e numismatica. Non è difficile immaginarlo da ragazzo, mentre riprendeva dal vero i suoi paesaggi nella beata solitudine campestre. Sulla sua figura di monarca la storia ha espresso giudizi pesanti – per il voltafaccia dell’8 settembre e lo sbando cui furono abbandonati i nostri militari – che hanno spazzato via i suoi primi discreti anni di regno e il merito di aver vinto la Grande Guerra. Il dileggio si è poi spesso accanito sull’unica cosa della quale non aveva colpa, ovvero il suo aspetto fisico. Forse a causa della consanguineità dei suoi genitori, Umberto I e Margherita di Savoia-Genova, cugini fra loro, o forse per via di un parto difficile, crebbe di statura solo fino ai 153 cm. CAPRO ESPIATORIO Per via di questi e altri fattori, la storiografia non lo ha mai molto considerato, ritenendolo una figura mediocre. Per larga parte degli ambienti monarchici e per storici più di nicchia, invece, è stato un personaggio molto travisato, che ha fatto ciò che poteva in una situazione di grave difficoltà, poi divenuto un capro espiatorio per coprire altri e maggiori responsabili. Fatto sta che quando il sovrano, nel 1946, abdicò e scelse l’esilio, non poteva portare tutto con sé e donò parte dei suoi archivi e dei suoi averi, tra cui uniformi e decorazioni, a funzionari e cortigiani fedeli. Parte di questo materiale è stato acquisito recentemente da un collezionista e, dato che era già molto ben catalogato, è stato da poco esposto a Roma, nel 150° della sua nascita, presso il Museo dei Granatieri di Sardegna. Diretto dal tenente colonnello Bruno Camarota, insieme all’appena riaperto Museo della Fanteria, quello dei Granatieri è una realtà molto attiva e da alcuni anni propone ricche e frequenti mostre su personaggi storici di primo piano. Le fotografie del Savoia, per grandissima parte completamente inedite, erano già ordinate in buste divise per soggetto e situazione: vi sono quelle relative ai figli, alla consorte regina Elena, a scene di quella intimità familiare che regalò a Vittorio Emanuele i pochi momenti davvero felici della sua esistenza. Vi è persino una busta del medico personale del Re, conte Quirico, che, tra le altre cose, custodisce ancora gli aghi utilizzati per le vaccinazioni del sovrano e dei suoi figli. Si può dire, quindi, che l’esposizione al Museo dei Granatieri conserva anche un campione del Dna della famiglia reale. Una componente cospicua del materiale cartaceo è costituita da sessantanove, tra acquerelli e disegni a matita, che ritraggono paesaggi, castelli, capanne contadine, ponticelli, rovine romanticheggianti. «Mentre i dipinti di Hitler», commenta Vittorio Sgarbi, «stupiscono di più, per il solo fatto che una personalità come quella del dittatore tedesco amasse la pittura e l’arte, i lavori di Vittorio Emanuele III sostanzialmente confermano un’individualità “diminutiva” e poco originale, certamente bene educata, col suo vedutismo alla Massimo d’Azeglio, o le copie accademiche di ritratti forse ripresi da Benozzo Gozzoli o da qualche altro pittore fiorentino. Del resto, Casa Savoia è stata grande fino a Umberto I, ma con Vittorio Emanuele III ha segnato la sua fine». PROSPETTIVA Un accademismo scolastico non privo di qualche pregio, tuttavia. Secondo il pittore Giorgio Dante, affermato esponente del figurativismo contemporaneo: «Sebbene di qualità variabile, i disegni sono interessanti e ben fatti, quasi certamente eseguiti dal vero e denotano un ottimo studio prospettico delle complesse architetture. Le poche cancellature mostrano una mano sicura, il segno nitido e leggero è attento al rispetto delle luci. Nonostante il soggetto difficile, l’acquerello monocromo è un bellissimo lavoro. Certamente il giovane principe assorbì i dettami di un’Accademia che, a fine ‘800, era giunta al culmine della tecnica». La grafologa Marilena Cremaschini, specializzata nell’analisi delle personalità attraverso il disegno, offre questa interpretazione: «I disegni evocano momenti di pace al volgersi della sera, come a voler ricercare la lentezza e la serenità dopo le avversità del giorno. Colpisce l’assenza assoluta di figure umane nei suoi paesaggi, espressione di un bisogno di ritirarsi proprio dal contatto con gli altri. Questa esigenza di privacy emerge anche dalla “insularità” dei disegni, raccolti e concentrati al centro del foglio con un ampio margine bianco intorno. I soggetti riguardano spesso edifici antichi, o rovine, segno che i fatti del passato erano davvero importanti per il futuro Re. L’uso dei colori o della scala di grigi denota una spiccata sensibilità, ma il chiaroscuro è molto controllato come se tutto quello che lui avrebbe voluto fare od essere fosse stato impedito dal suo ruolo, o forse anche dalla sua fisicità». Che siano artisticamente validi, o meno, su quei fogli ingialliti, rimangono fissate le luci e le ombre – per quanto tenui – di una personalità che ha tenuto in mano le sorti della Patria per ben 46 anni e che per questo meriterebbe di essere studiata più a fondo.