la Repubblica, 20 dicembre 2019
Intervista a Gianluigi Paragone. Dice che Di Maio ormai è deperito
«Mia moglie dice che non so organizzare neanche una gita. Figuriamoci se posso gestire un gruppo parlamentare. Sono un cane sciolto. All’opposizione, che è uno spazio meta-politico, posso stare anche da solo. Ma ho un mio pensiero. Se qualcuno me lo chiede sono pronto a prestarglielo». La battaglia di Gianluigi Paragone, il ribelle possibile front-man di una pattuglia di dissidenti del Movimento 5 stelle, non finisce qui. Anche se verrà espulso. «Gli espulsi dovrebbero essere altri. I tre che hanno firmato il referendum contro il taglio dei parlamentari per esempio. Una bandiera del Movimento».
Lo scontento nel gruppo M5S al Senato è certificato. Immaginare che possa trasformarsi in gruppo è tutt’altro che lunare.
«Sono sotto processo per non aver votato la fiducia. Anzi, sotto processino come lo chiamo io, fatto dagli uomini grigi di Momo, il romanzo di Ende in cui alla bambina vogliono togliere i colori e il tempo. E dovrei capeggiare una pattuglia di dieci persone per fare da stampella al governo? Mi sembra assurdo».
La stampella però decide quando salutare la compagnia.
«Io non li vedo dieci senatori pronti a far cadere Conte al mio segnale.
Lasciatemi nella mia posizione che secondo i capi è minoritaria, stupida e immatura. Questo dentro il Palazzo. Ma fuori? Una roba verde non puoi dire che è giallo marcio. Noi avevamo scritto nel programma che si poteva anche recedere dall’Euro e oggi facciamo i reggicoda di Bruxelles».
Di Maio ha venduto l’anima per la poltrona?
«Il governo è diventato più importante del Movimento. Ma attenzione: così non reggerà a lungo.
C’entra forse che fra coloro che non restituiscono parte dello stipendio ci sono anche ministri, vice e sottosegretari? Loro non li deferiamo ai probiviri? La verità è che stanno distruggendo il Movimento».
Ripeto: chi? Di Maio?
«A me non interessa nulla del leader.
Ma se uno ingrassa o dimagrisce non è colpa della bilancia. Se vieni brutto nei selfie non te la prendi con la macchina fotografica. Di Maio non ha più il peso politico di un anno fa. Il ragazzo è deperito, questo è evidente».
Quindi comandano Grillo e Conte.
«Grillo è un leader vero. Non ha bisogno della divisa per essere un generale. E trasferisce la sua leadership su Di Maio continuando a ripetere: il capo è lui. Ma questa conferma insistita dimostra che c’è un problema. È l’Abc del potere».
Grillo ha deciso di stare nel
governo, di sostenerlo. Che si fa contro di lui?
«Se cambi il Dna del Movimento devi convincere gli attivisti, non i parlamentari che ti bastano 10 minuti, è una cosa di Palazzo. Ti devi caricare il Movimento sulle spalle, girare l’Italia, andare nelle piazze e dire: siamo cresciuti, non siamo più quelli di una volta. Noi eravamo il simbolo del cambiamento e non lo fai da un giorno all’altro. Sappiamo di non avere una classe dirigente all’altezza ma allora mi chiedo: perché dobbiamo consegnare al solo Salvini la critica all’austerity contenuta nel manifesto dei 32 professori universitari?».
I nomi citati uno per uno dal leader del Carroccio al Senato. Il sospetto che lei sia filo-Lega cresce.
«Quell’appello non doveva finire nella buca delle lettere di Salvini. Era destinato alla casella postale del governo. Lo hanno scritto accademici della Sapienza e di altre grandi università. Sono pericolosi no-euro anche loro? No. Vogliono solo ricordarci che l’Eurozona ha la peggiore performance economica del mondo. Che se non riparte l’inflazione non vai da nessuna parte. Se buttano fuori Gualtieri e ci mettono uno di quei professori voto la fiducia domani».
Sembra proprio destinato a riabbracciare la Lega.
«Sono schizofrenici anche loro.
Alcuni sono liberisti altri keynesiani.
Criticano il Mes e poi candidano Draghi al Quirinale».
] Draghi ha messo miliardi e miliardi nel sistema e cercato a tutti i costi la crescita dell’inflazione. Più keynesiano di così.
«Non sono serviti, hanno solo gonfiato la liquidità parcheggiata nelle banche. Perché la Bce non ha i poteri della Federal Reserve o della banca centrale giapponese. Non è con Draghi che trovo soddisfazione nel mio desiderio di cambiare Bruxelles. Io non lo voterei al Colle nemmeno sotto tortura. Auguri ai leghisti».
Alessandro Di Battista sta dalla sua parte?
«Con Ale siamo amici. Ma non lo butto dentro un dibattito che si è inacidito».