Corriere della Sera, 20 dicembre 2019
Intervista a Fabrizio Ravanelli
Lezioni di tridente, Fabrizio Ravanelli, lei ne dà ancora?
«Mi ha invitato la federcalcio belga, ne ho parlato davanti a 350 allenatori. Una bella esperienza».
Il succo del discorso qual è stato?
«Che il nostro, io, Vialli, Baggio prima e Del Piero poi, era inimitabile, per il lavoro che veniva fatto. Né quello del Liverpool, Salah-Firmino-Mané, né Dybala-Higuain-Ronaldo possono avvicinarsi. Ma ogni versione ha le sue caratteristiche e i suoi punti di forza».
Quello lippiano quando nacque?
«Dopo una partita con il Brescia, in cui Baggio venne marcato fisso e l’allenatore decise di mettere un attaccante in più. Ma dovevamo essere i primi difensori con il pressing. Oggi non è più proponibile: i calciatori si lamenterebbero per l’eccessivo lavoro».
Domenica si gioca Juventus-Lazio, lei oltre agli altri trofei, ha vinto la Supercoppa con tutte e due le squadre. Sarri riproporrà il tridente dall’inizio come nelle ultime due partite?
«Potrebbe anche farlo. Ma molto dipende dalla volontà dei giocatori di sacrificarsi e dalla condizione: l’esempio di Eto’o nell’anno del Triplete interista è sempre valido».
Sembra però scettico sulla versione juventina?
«Credo che vada bene solo in determinate partite. Anche se Dybala è un altro rispetto all’anno scorso, Higuain come me è un sagittario orgoglioso che vuole dimostrare sempre qualcosa e Ronaldo non ha bisogno di altre parole, specie dopo il gol di Genova. A centrocampo però non vedo la qualità necessaria per supportarli».
La vittoria laziale di 15 giorni fa inciderà sulla preparazione della Supercoppa?
«Aiuterà i due allenatori a correggere qualcosa. La Juve ha avuto un ottimo approccio, ma non ha chiuso la partita e ha preso due gol evitabilissimi, non da Juve. E alla fine ha vinto la squadra più cinica e che difende meglio».
Di solito cinismo e difesa sono marchi di fabbrica juventini. È in atto un mutamento?
«Non credo. La versione di Sarri sta crescendo e si cresce anche attraverso certe sconfitte, come era stato anche per Allegri. Al di là della Supercoppa, la Juve lotterà su tutti i fronti fino all’ultimo».
Domenica ha più da perdere la squadra di Sarri?
«Tutto quello che non è una vittoria è percepito come una tragedia, soprattutto adesso che la Juve ha abituato troppo bene i suoi tifosi. Ma questo allenatore mi sembra una garanzia per continuare a vincere».
Che cos’ha di diverso la Juve rispetto alle altre?
«Se entri lì, sai che non puoi sbagliare una virgola. È la storia che lo dice».
La Lazio delle otto vittorie di fila la sorprende?
«No, perché è sempre stata costruita per la Champions. Magari non riempie la bocca a certe critiche, ma quali altri squadre hanno giocatori come Luis Alberto, Immobile, Milinkovic-Savic e Correa? Sono formidabili. Senza dimenticare che Lazzari è uno dei migliori esterni in circolazione e che Acerbi è cresciuto tantissimo: non è facile segnare a questa squadra».
Lotteranno per il titolo?
«Sì, anche perché hanno quella fortuna che non guasta. L’uscita dall’Europa League è stata frutto di un po’ di superficialità, ma potrebbe anche diventare un vantaggio».
Lei oggi di che cosa si occupa?
«Giro molto come ambasciatore bianconero, specialmente in Oriente. La Juve guarda sempre lontano. L’apertura dell’ufficio a Hong Kong è solo l’ultimo esempio».
Il primo giorno a Torino lo ricorda ancora?
«Altroché, firmai il contratto con Boniperti, assieme al mio povero padre e a mio fratello. Eravamo assieme anche a Perugia, nel 1976, quando i bianconeri persero lo scudetto all’ultima giornata per un gol di Renato Curi e io piansi per tutta la partita. La Juve mi ha reso una persona migliore sotto tutti i punti di vista».
Alla Lazio arrivo da campione affermato. Fu diverso?
«È stato molto bello e giocare con tanti campioni fu facile. Quella era una squadra stratosferica e forse ha vinto anche meno di quello che avrebbe potuto».
Nella Supercoppa del 2000 contro l’Inter lei era infortunato, ci pensò Simone Inzaghi a segnare. Se lo aspettava allenatore di questo livello?
«Lui ha sempre vissuto per il pallone con una passione totale. Poi ha sfruttato la sua chance, quando sembrava fosse destinato ad andare alla Salernitana per fare posto a Bielsa. Si è ritrovato così in una società ben strutturata, con una squadra che lotta per la Champions: è stato molto fortunato».
Lei ha giocato fra gli altri anche con Deschamps, Conte, Simeone: erano già allenatori in campo?
«Con tutto il rispetto devo dire di no. Didier ad esempio ha fatto la storia della Francia e continuerà a farla perché è un vincente, ma allora non aveva quel carisma per trascinare la squadra e come lui anche Conte. Il punto di riferimento era uno come Vialli. O come Mihajlovic e Mancini alla Lazio».
Con Vialli torniamo al tridente?
«Torniamo a quando io giocavo in C col Perugia e lui era lì con l’Italia di Vicini. Mi regalò un paio di scarpe che custodisco ancora. È stato il mio idolo, il mio compagno di camera, il mio modello. E lo sarà sempre, anche per come sta gestendo questo difficile periodo. Ricomporre il binomio vincente con Mancini in Nazionale è stato bellissimo e aumenta ancora di più l’entusiasmo in vista dell’Europeo».
Mancini e Mihajlovic da cosa erano accomunati?
«Dalla trasparenza e dalla serietà. Pur avendo caratteri diversi erano due leader già in campo. Un professionista come Sinisa credo di non averlo mai visto. Un uomo vero, sincero, che dice sempre le cose in faccia. Mi ha insegnato molto e non sta smettendo di farlo anche adesso con la sua lotta alla malattia. Le punizioni come le calciava lui, però non sono riuscito mai a tirarle».