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 2019  dicembre 19 Giovedì calendario

Norcia a tre anni dal terremoto

Nella piazza di Norcia la statua di San Benedetto dal volto giustamente accigliato sotto gli addobbi natalizi protende la mano: forse nella speranza che qualcuno gli offra una pala. Come accaduto a L’Aquila, ora sono quasi dieci anni, quando il popolo delle carriole irruppe sfidando i militari nella zona rossa dove le macerie del terremoto ancora giacevano: dopo avergli cinto il collo con un drappo tricolore, qualcuno mise la pala in una mano della statua di Sallustio. E il secchio nell’altra.
Sembra di vedere lo stesso film. Con la differenza che Norcia non è L’Aquila. Cinquemila abitanti anziché settantamila. Ma la ferita non è meno profonda. Dentro la basilica di San Benedetto ci sono ancora macerie di quella tremenda scossa del 30 ottobre 2016. Già seriamente provata dalla botta del 24 agosto che aveva fatto strage ad Amatrice e dintorni, non era puntellata. E quando è arrivato lo scrollone si è sgretolata. Lasciando una sola testimonianza di sé: la facciata, a sfidare in un equilibrio irreale la legge di gravità.
Nessuna chiesa in piedi
A tre anni e due mesi di distanza, un tempo che in Cina hanno impiegato per fare una trentina di chilometri del ponte più lungo del mondo, e in Portogallo, senza andare così lontani, è stato più che sufficiente per costruire a Lisbona il ponte più lungo d’Europa. Paragoni che non reggono, dirà qualcuno. E con ragione. Ma non sta in piedi nemmeno che tre anni e due mesi dopo sul bandone metallico intorno al cantiere ci sia un cartello dove si descrivono così i lavori in corso: “Intervento di somma urgenza di tutela e messa in sicurezza”. Precisando che l’inizio dei lavori era fissato il “26 giugno 2018": 22 mesi dopo la prima scossa. Con la fine dei lavori prevista per il “22 dicembre 2018”, nientemeno. Un anno fa. Alla faccia della “somma urgenza”. Nonché dei 298 mila euro che ci costa. Di un progetto per il rifacimento neanche l’ombra.
Così è praticamente ovunque. A Norcia il sisma ha fatto strage di chiese. Ce n’erano undici, adesso non ce n’è più neppure una. Per far dire la messa la domenica hanno dovuto tirarne su una con i prefabbricati fuori dal Paese. Ma la basilica di San Benedetto non è come le altre dieci chiese. Per otto secoli è stata rimaneggiata, restaurata, abbellita e imbruttita, tanto quanto tutte o quasi. Soltanto questa, però, è la chiesa del santo patrono d’Europa. Dietro la piazza c’era la chiesa dedicata a Santa Rita, ridotta a un ammasso di macerie. Dall’altra parte della basilica, sulla stessa piazza, si affaccia la cattedrale. O quel che ne resta. La stanno liberando adesso dalle macerie per la messa della sera di Natale. All’addiaccio ma simbolica. Pure lì il cartello dice “Somma urgenza per la rimozione delle macerie e messa in sicurezza. Consegna lavori 6 novembre 2018”. E ancora 280 mila euro.
C’è dolore e rabbia nello sfogo di Federico Basili: «Qui si lotta contro lo Stato. L’impressione è che l’avversario, più del terremoto, sia questo». Geometra laureato in filosofia, Basili non è uno qualsiasi. Lui il terremoto lo conosce come pochi, e non perché in questo frangente insieme all’architetto Paolo Vinti stia tentando di lavorare alla ricostruzione. Ma perché è il terzo che gli tocca. Il primo, quello del 1979 che stremò la Valnerina. Poi quello del 1997. E ora questo. «Però mai, le assicuro, è successo ciò che accade oggi».
Il vincolo dei parchi
Basta l’ultima in ordine di tempo per far capire a che punto sia arrivata la burocrazia. Accade che il Comune di Spoleto, dovendo gestire una pratica che ricade in un parco, chieda un chiarimento alla Regione, la quale gira il quesito al ministero dei Beni culturali. Avendo la seguente risposta: gli immobili terremotati che insistono in un parco naturale, in base al codice dei Beni culturali berlusconiano del 2005 vanno ricostruiti identici, rispettando al millimetro le sagome. Anche se sono osceni, deturpati da precedenti terremoti o magari abusivi. E siccome il Comune di Norcia è compreso nel parco (meraviglioso) dei (meravigliosi) Monti Sibillini, ecco che progetti di ricostruzione già approvati in zone rurali vanno buttati nel cestino.
Per molti è una doccia gelata. Allora si mette in moto la politica: si presenta un emendamento al decreto in discussione in Parlamento per eliminare la faccenda delle sagome sul principio che rispettando le cubature e le tipicità delle costruzioni rurali dei Sibillini il sisma può essere anche un’occasione per migliorare le costruzioni eliminando certe schifezze anni Settanta-Ottanta. Ma quando tutti sarebbero ormai d’accordo viene impallinato.
Il bello è che una roba del genere si viene a scoprire dopo tre anni. Una follia. Che si somma ad altre più ordinarie follie, a cominciare dal fatto che per un terremoto si debbano seguire le procedure, appunto, ordinarie. I passaggi sono infiniti. Prima la valutazione dell’incidenza paesaggistica dell’ente parco. Poi l’esame alla commissione edilizia comunale per il medesimo impatto paesaggistico. Quindi la procedura per la concessione edilizia. E non bastasse, la conferenza dei servizi con la Soprintendenza per l’autorizzazione paesaggistica (e tre). Il giro dura almeno un anno e mezzo.
La pioggia di ordinanze
Accusa il presidente dei costruttori umbri Walter Ceccherini: «La lentezza della ricostruzione è spaventosa». Senza paragone con i disastri precedenti. A fine estate 2019 i progetti approvati per le 4.856 pratiche di danni leggeri erano 509, e i lavori ultimati solo 119, il 2,4 per cento. Mentre i progetti per i 5.654 danni gravi risultavano appena 41, e i lavori finiti sei in tutto. Sei, ovvero lo 0,1 per cento. Ceccherini allarga le braccia: «Dobbiamo fare i conti con un metro cubo di carte. Si è arrivati ormai a 86 ordinanze del commissario, più tutte le norme specifiche».
Si farebbe fatica a spiegarlo a chi non conosce l’Italia. Ogni volta che la terra trema si ricomincia daccapo. E sono decreti, ordinanze, regolamenti e circolari, salvo scoprire che le norme si pestano i piedi fra di loro. C’è tutto, tranne il buonsenso. Perché, secondo Vinti, è il nemico giurato dei burocrati: «In un Paese che ha un sisma ogni quattro anni è grave che nessuno abbia mai pensato a fare un protocollo standard da usare in caso di terremoto per non dover ripartire sempre da zero».
I disastri degli ultimi cinquant’anni non hanno insegnato un bel nulla. A cominciare dalle cose più banali. Un esempio? Nessuna politica ha mai avuto il coraggio di declassare le macerie dallo status di rifiuto speciale. Così si continuano ad affrontare costi astronomici e tempi biblici per smaltire anche le pietre. E la storia già complicata diventa un delirio se il cratere comprende 123 Comuni di quattro Regioni e la gestione commissariale perde colpi.
Il commissario contestato
L’ultimo commissario si chiama Piero Farabollini. Dopo un paio provenienti dalla politica e dalla sinistra, l’ex governatore dell’Emilia-Romagna Vasco Errani e l’attuale ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, è arrivato un tecnico fortemente sponsorizzato dal M5S. E c’era da aspettarselo che venisse infilzato dalle opposizioni, fino al punto che nella sua Regione, le Marche, la sinistra ne ha chiesto le dimissioni non più tardi di una settimana fa. Ma non è generoso neppure il giudizio degli imprenditori come Ceccherini: «È un bravo geologo, e non mi spingo oltre. Ha sfornato ordinanze una dopo l’altra in contraddizione fra di loro. Le pare possibile?».
Quanto alla fluidità della manovra commissariale, ha raccontato il Messaggero che pochi mesi dopo il suo arrivo il commissario voluto dai grillini aveva chiesto di bloccare la procedura per il nosocomio di Amatrice, sposando le proteste di alcuni comitati contrari a farlo ricostruire dov’era. Peccato solo che parte dei denari ce li mettesse la Germania, e si è sfiorato l’incidente diplomatico.
Né sono mancate polemiche politiche suscitate dalle rivelazioni del sito cronachemaceratesi.it secondo cui il commissario avrebbe ingaggiato come consulenti un avvocato vicino al deputato leghista di Macerata Tullio Patassini, e due esperti di comunicazione che avevano supportato la campagna elettorale dello stesso onorevole salviniano. Polemiche respinte al mittente da Farabollini in uno slalom fra smentite e rivendicazioni di aver rispettato le regole.
In regola, anzi no
Concetto che però in questo Paese, al di là del caso specifico, può essere quanto mai aleatorio. Ne sanno qualcosa il sindaco di Norcia Nicola Alemanno e l’architetto Stefano Boeri. Il primo ha autorizzato la costruzione, con circa un milione di una raccolta fondi organizzata dal Corriere della sera e da La7, di un piccolo auditorium progettato da Boeri. Tutto in regola, per il sindaco, tanto più che c’era l’emergenza e tutti gli spazi pubblici, Comune compreso, erano (e sono tuttora) inagibili. Non così per la Procura: l’area non era edificabile, quindi l’immobile «tutto in regola» è abusivo. Ed è ancora sotto sequestro.
La burocrazia non fa sconti. Anche nelle zone terremotate bisogna seguire le procedure ordinarie, che prevedono passaggi infiniti.
Nonostante i cartelli che annunciano “opere di massima urgenza"