la Repubblica, 19 dicembre 2019
Intervista a Di Maio. Parla della Libia
Ministro Di Maio, lei ha ammesso: in Libia abbiamo perso un ruolo. Siamo spariti da Tripoli per otto mesi. L’avranno presa male.
«Dobbiamo recuperare, non lo nascondo, e dobbiamo farlo con un approccio concreto e più realistico della situazione sul terreno».
Dove abbiamo sbagliato?
«A fronte dell’ottimo lavoro svolto dal nostro corpo diplomatico e dai nostri servizi di intelligence, in particolare l’Aise, sì, siamo rimasti indietro e le responsabilità sono di una politica che ha vissuto momenti di difficoltà. È anche per questo che è importante avere un governo stabile a Roma. Ad ogni modo con la Libia e più in generale con il Mediterraneo ci lega una profonda amicizia, possiamo e dobbiamo recuperare quello che nell’area considero essere il nostro ruolo naturale di Paese di riferimento.
Siamo dei pontieri da sempre, con una grande vocazione al dialogo e dobbiamo lavorare in questa direzione».
Un inizio potrebbe essere la chiarezza. Con chi è schierata l’Italia? Con il governo, riconosciuto dall’Onu e guidato da Serraj, che la stessa Italia ha contribuito a insediare quattro anni fa?
«Noi riconosciamo e supportiamo il lavoro delle Nazioni Unite e il processo di Berlino. Siamo noi i primi a dire che non bisogna fare fughe in avanti e che l’Europa deve sapersi mostrare compatta. È per questo che auspico che si possa svolgere in Libia anche una missione Ue, proprio a sostegno dell’unico percorso negoziale al momento plausibile, di una soluzione pacifica alla crisi e dell’unità nazionale libica, contro ogni interferenza e coinvolgendo tutti gli attori coinvolti, senza pregiudizi».
Che ora sono aumentati rendendo tutto più difficile.
«Non possiamo far finta di non vedere che la situazione è complessa e che con il passare degli anni non è migliorata, anzi. E in questa cornice bisogna percorrere, come ho già detto, la via della franchezza: sederci tutti a un tavolo, includendo i Paesi confinanti con la Libia che come noi pagherebbero un prezzo molto alto dall’aggravarsi del conflitto per fare in modo che i libici possano finalmente avere un futuro.
Stabilizzare la Libia significa mettere in sicurezza anche il nostro Paese, la regione mediterranea e, in ultima analisi, l’Europa intera».
Ma che linea è, nel mezzo di una guerra civile tra i sostenitori di Serraj e le truppe di Haftar, quella della equidistanza?
«Mi scusi e quindi l’alternativa quale sarebbe? La passività? Lasciare tutto com’è? Oppure un altro intervento militare? Non scherziamo. L’unica soluzione alla crisi libica è politica e non può prescindere dal dialogo con tutte le parti. Non si tratta di equidistanza, ma di realpolitik.
L’Italia può giocare un ruolo importante, bisogna avere il coraggio di andare avanti e promuovere soluzioni condivise con i partner Ue».
Il governo di Tripoli considera il generale Haftar un capo milizia. Lei
invece gli riconosce uno status politico?
«Quando martedì ho incontrato Serraj mi ha detto che sono pronti a fare dei passi avanti, se a farli è anche la controparte. Ad Haftar ho chiesto lo stesso e conto di rivederlo prossimamente a Roma. Haftar un ruolo ce l’ha, non sono io a riconoscerlo ma i fatti e questo non si può ignorare».
Invocare una pace diplomatica non è un po’ poco mentre prevale lo strumento militare? Oggi la Libia è: morti, colpi di mortaio, milizie, mercenari, armi che arrivano a entrambi i fronti, spionaggio.
«In Libia, così come in Siria, è in corso una guerra per procura. Gli interessi sono molteplici e i protagonisti diversi. È un errore analizzare solo le dinamiche interne, occorre allargare il perimetro della riflessione e fare in modo che chiunque partecipa a questo conflitto, direttamente e indirettamente, sia spinto a trovare una soluzione negoziata».
L’Italia e l’Unione europea dovrebbero avere il coraggio di prendere di petto i veri artefici di questo conflitto, cioè la Turchia (dalla parte di Tripoli) e la Russia (dalla parte di Haftar).
«L’Italia deve avere sicuramente il coraggio di riconoscere che anche loro sono due interlocutori fondamentali per la stabilità della Libia».
Interlocutori che rappresentano regimi autoritari, contrari ai sistemi liberali, democrature vere e proprie. Putin e Erdogan. Comunque vada la Libia è destinata a essere governata da una nuova dittatura dopo Gheddafi?
«Credo che i libici possano sperare in un futuro stabile. Ma dobbiamo impegnarci tutti e partire da un principio, ovvero che la prima vittima di questa guerra è proprio il popolo libico, indistintamente».
Come fa l’Europa a tollerare che l’unica via d’uscita sia alla fine un regime?
«Ma non deve essere un regime, bensì un processo democratico inclusivo e intralibico, accompagnato da un percorso elettorale sui cui tempi dovrà essere il popolo libico ad esprimersi, senza forzatura esterne».
In Libia forse hanno capito dove l’Italia ha sbagliato: a vedere l’altra sponda del Mediterraneo solo come un problema per l’immigrazione dimenticandosi del conflitto in corso.
«All’Italia interessa una stabilità della Libia, che inevitabilmente laddove arrivasse contribuirà ad offrire risultati proficui anche in termini di flussi migratori e nella lotta al terrorismo. Non bisogna partire dagli effetti ma dalle cause. In Libia invece ho ricevuto apprezzamento e vicinanza al nostro Paese e questo deve spingerci a dare di più in termini di sostegno e supporto alla popolazione, che già in parte avviene attraverso operazioni di soccorso e umanitarie».
Ha parlato con Lavrov del dossier libico dieci giorni fa? Gli ha chiesto di fermare i rifornimenti ad Haftar?
«Con Lavrov ho affrontato diversi temi, tra cui anche la Libia ovviamente. Gli ho detto che come Italia condanniamo ogni forma di ingerenza e che la soluzione può essere solo diplomatica. Le armi non portano mai lontano».
La posizione americana è molto defilata. C’è il sospetto che siano disposti ad accettare la vittoria del fronte russo-egiziano legato ad Haftar?
«Non è nelle mie competenze dare risposte per Washington. Gli Usa sono nostri alleati storici e manteniamo un rapporto franco.
Sentirò il segretario di Stato Pompeo nei prossimi giorni per aggiornarlo sul lavoro che stiamo facendo».