la Repubblica, 19 dicembre 2019
Rai, nomine di nuovo bloccate
«Io sono un uomo di azienda, per me la priorità è aumentare la competitività della Rai, supportare la produzione di un’offerta di qualità e non giocare a tetris con le pedine della politica». La Rai rischia la paralisi. Il vertice della tv di Stato appare diviso come non mai. Il pacchetto di nomine predisposto per affidare incarichi lasciati vacanti e per effettuare alcune sostituzioni è stato di nuovo bloccato. Il cda di domani non lo approverà. O meglio, non lo discuterà proprio. Rinviato sine die. L’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, inizia allora a perdere la pazienza. E riservatamente, in una riunione informale con il suo staff svoltasi fuori dal suo ufficio, si lascia andare ad un lungo sfogo. Non accetta di assumersi la responsabilità di un ennesimo stop. Non intende avallare l’idea che la palude sia l’effetto del suo operato e non delle indecisioni dei partiti. Dei loro litigi. Dell’incapacità di prendere atto della nascita, a settembre scorso, di un nuovo equilibrio. Il capo azienda di Viale Mazzini si sente amareggiato e irritato. E non lo nasconde.
Così come non nasconde che quel che sta accadendo è una sorta di rissa sui candidati ai massimi ruoli nelle testate giornalistiche e nelle reti.
«I nomi – sbotta con i suoi collaboratori – per me sono l’ultima parte di un processo ma è chiaro che le aziende vivono anche di nomi e da questo punto di vista le mie scelte sono chiare». Con il suo gruppo di lavoro evita di ripetere la composizione del quadro di incarichi cui aveva lavorato in questi giorni. Ma le designazioni erano ormai quasi pubbliche. In gioco c’erano le tre principali reti, il Tg3 e il coordinamento editoriale.
Per la Rete1 era stata prevista la “promozione” di Stefano Coletta, attuale direttore della terza rete.
Per Rai2 era in corso un ultimo ballottaggio tra Ludovico Di Meo e Marcello Ciannamea. Per Rete3 era stato indicato Franco Di Mare.
Giuseppina Paterniti, attuale direttore del Tg3 avrebbe traslocato al coordinamento editoriale e il suo posto sarebbe stato preso da Mario Orfeo, l’ex direttore generale. Ma i veti incrociati dei partiti hanno bloccato tutto. Il “no” incondizionato di M5S su Orfeo ha infatti scatenato una rincorsa a porre riserve, rifiuti e minacce.
Coinvolgendo il Pd, Italia Viva e i partiti di opposizione, a cominciare dalla Lega che conserva una presenza corposa nel consiglio di amministrazione rappresentata dal presidente Marcello Foa.
«Parliamoci chiaro – è allora il ragionamento di Salini – siamo in un contesto in cui le istituzioni faticano a trovare nomi di garanzia per tanti posti rilevanti: pensiamo alle authority per la privacy e per le comunicazioni che sono bloccate da qualche mese». Un modo per sottolineare che la confusione è generale. Che l’emittente pubblica non ne è esente. E che l’azione del management è frenata da quella inerzia. «Le authority appunto ci danno la cifra di un livello di conflittualità istituzionale che, però, non può riverberarsi sulla Rai. La Rai deve infatti conservare il più possibile il suo ruolo super partes, pur nel rispetto e nel dialogo, con la volontà popolare e l’espressione democratica».
Secondo l’amministratore delegato, insomma, questo stallo non gli può essere addebitato. E, anzi, ricorda il mandato ricevuto nel luglio 2018: “Fuori la politica dalla Rai”. «Oggi – insiste – abbiamo un’urgenza: avviare il piano industriale (che istituisce delle direzioni tematiche anziché per rete e accorpa alcune redazioni giornalistiche, ndr ). Ritardare questo passo per venire incontro alle esigenze di una parte politica è inaccettabile per chi, come me, è stato nominato amministratore delegato con l’esplicito mandato di tenere la politica fuori dalla Rai».
Salini sgombra con tutti il campo dall’ipotesi che possa rinunciare all’incarico ricevuto. Non sono in discussione le dimissioni. Del resto, «non ho proceduto fino ad ora alle nomine per senso di responsabilità: perché ci tengo a tenere unito un Consiglio che oggi vive le stesse divisioni che sconta la politica».
Sono semmai i partiti a dover soppesare la situazione. In particolare sulle conseguenze che il cambio di governo e di maggioranza dell’estate scorsa sta comportando. Perché è il suo ragionamento, «il mutato scenario istituzionale ci pone un tema di riflessione che siamo pronti a raccogliere ma è evidente che dobbiamo anteporre l’interesse dei cittadini, di chi paga il canone e di tutta la collettività a quello di questa o quell’altra parte politica. E chi si mette a fare interessi di parte in questa fase non fa il bene della Rai».