Corriere della Sera, 19 dicembre 2019
La storia di Shiori, giovane praticante stuprata da un giornalista molto noto. Lui dovrà risarcirla con 30mila dollari ma in carcere non ci andrà
Quando ha avuto la notizia è scoppiata in lacrime. «Sono così felice. Ma non è finita. Ora dovrò imparare a convivere con le cicatrici di questa storia». È una sentenza storica quella con cui ieri la corte di Tokyo ha dato ragione alla giornalista 30enne Shiori Ito, diventata icona del femminismo giapponese e voce del movimento MeToo, e ha condannato il suo stupratore a pagarle 30 mila dollari di danni (3,3 milioni di yen).
La vicenda inizia il 3 aprile 2015: Shiori è una tirocinante della Reuters. Cena in un ristorante di Tokyo con il reporter Noriyuki Yamaguchi, capo dell’ufficio di Washington del canale Tbs. Lei ha 27 anni, è agli inizi della carriera e spera di ottenere un altro stage. Lui ne ha 50, ha scritto una biografia del primo ministro Shinzo Abe ed è uno dei giornalisti giapponesi più in vista.
Durante la cena Shiori beve una birra e un po’ di sake. All’improvviso un forte mal di testa: va in bagno. Segue il buio. Shiori si risveglia verso le 5 di mattina in una stanza d’albergo, in compagnia di Yamaguchi. Mentre cerca di capire cosa sia successo, lui tenta di violentarla di nuovo. Lei riesce a scappare.
Cinque giorni dopo Shiori va alla polizia e lo denuncia. «Penso mi abbia drogato», racconterà nel suo libro Black Box. La polizia cerca di farla ritrattare: «Mi hanno spiegato che questo genere di cose accade spesso».
Dopo aver sentito il tassista che li aveva portati in albergo e aver visto il filmato di videosorveglianza, gli inquirenti decidono di arrestare il reporter. Ma proprio quando gli agenti stanno per ammanettarlo, al terminal dell’aeroporto di Tokyo, arriva una telefonata: Itaru Nakamura, direttore della polizia della capitale, molto vicino al capo dello staff di Abe, ordina di soprassedere. La richiesta di arresto per stupro è archiviata.
Decaduta la causa penale, Shiori procede civilmente. Chiede un risarcimento da 100 mila dollari (130 milioni di yen). Lui la cita per 1,2 milioni di dollari di danni. Ma perde. Lei organizza una conferenza stampa per presentare il suo libro: «In Giappone lo stupro è considerato qualcosa che accade solo nei film o altrove. Ma mi sono successe cose inaspettate nel Paese che pensavo il più sicuro dell’Asia».
Parole supportate dai dati: per un sondaggio governativo, in Giappone solo il 4% delle vittime di stupri sporge denuncia. Certo, 30 mila dollari sono pochi e Yamaguchi non si farà un solo giorno di carcere. Ma secondo Mari Miura, docente di scienze politiche alla Sophia di Tokyo, questo verdetto «darà coraggio a molte donne e alimenterà il movimento MeToo», ha spiegato alla Reuters.
La speranza ora è che venga rivista la legge sullo stupro. Già modificata nel 2017, con sanzioni più severe e con l’aumento della pena minima da 3 a 5 anni, prevede però ancora l’obbligo per i pubblici ministeri di dimostrare che la vittima non sia stata in grado di resistere, senza tenere in conto l’aspetto psicologico dell’abuso.