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 2019  dicembre 19 Giovedì calendario

STA SPARENDO L’ORO! - SE LE BANCHE CENTRALI STAMPANO CENTINAIA DI MILIARDI DI MONETA ELETTRONICA DA INIETTARE NEL MERCATO PER TAMPONARE LA VOLATILITÀ DEGLI INDICI, UN AMMONTARE SIMILE DI METALLO PREZIOSO STA SPARENDO DAI RADAR UFFICIALI - I RICCHI AMMASSANO ORO (E BANCONOTE) PER PREPARARSI ALLA PROSSIMA CRISI… -

In un mondo dove, a livello economico e finanziario, l’imponderabile è ormai da considerarsi regola e prassi – extraordinary is the new normal, parafrasando una famosa serie tv americana – non stupisce che anche il bene rifugio per antonomasia subisca delle mutazioni. E, di colpo, triplichi la sua natura come una dea indiana.

Dopo l’oro fisico, gelosamente custodito nei caveau e rimpatriato in fretta e furia dalle Banche centrali di mezzo mondo e quello “di carta” dei futures che regolano il mercato delle bullion banks, ecco che oggi abbiamo a che fare anche con l’oro invisibile. O meglio, non-transparent.

Questa infatti la definizione scelta da Goldman Sachs nel suo allarmante report, ripreso in parte dal Wall Street Journal. Il succo? In un momento in cui le Banche centrali stampano centinaia di miliardi di moneta elettronica da iniettare nel mercato per tamponare la volatilità e euforizzare gli indici, un ammontare pressoché simile di metallo prezioso e valuta cartacea sta sparendo dai radar ufficiali. Insomma, qualcuno sta ammassando oro e banconote con un ritmo e per un controvalore senza precedenti. Perché?

Goldman Sachs pare non avere dubbi: quei flussi inspiegabili fanno quasi certamente riferimento – fatta salva la quota ormai endemica riconducibile ad attività di crimine organizzato – alla scelta del cosiddetto 1% della popolazione mondiale più ricca di cautelarsi e proteggere la propria ricchezza da una nuova crisi finanziaria in arrivo.

Insomma, la logica della piscina di Zio Paperone, zeppa di monete d’oro in cui fare il bagno e sentirsi riccamente al sicuro dagli accadimenti di un mondo sempre meno prevedibile. L’analisi della banca d’affari parte da un presupposto, rappresentato dal grafico sopra: a livello globale e in risposta alle sempre crescenti tensioni geopolitiche, le Banche centrali stanno comprando oro fisico ad un ritmo che conosce pochi precedenti e il 2019, stante il risultato record già registrato nel periodo fra gennaio e ottobre, rischia di pareggiare o mancare di poco la previsione fatta proprio da Goldman a inizio anno, fra lo scetticismo generale.

Ma più interessante appare quanto emerge da questo altro grafico, dal quale si evince che al mondo ci sarebbero 1.200 tonnellate – pari a un controvalore di circa 57 miliardi di dollari – di flussi aurei definiti “inspiegabili” emersi negli ultimi 3 anni. Insomma, al netto dei dati forniti dal World Gold Council (dopo il 2010) e dal Gold Fields Mineral Services (prima del 2010), il bilancio non torna.

E lo stesso vale quando si prendono in esame i benchmark rappresentanti dagli stock impliciti di metalli venutisi a creare nei caveau ufficiali in Regno Unito e in Svizzera, di fatto il frutto delle importazioni totali nette cumulative meno gli stock tracciabili legati agli Etf aurei. Insomma, i conti non tornano. E non di poco.

Anche perché, sempre come mostra il grafico, dalla fine del 2016 gli investimenti in oro non trasparenti hanno visto un volume di crescita più ampio addirittura di quello appunto degli Etf, sintomo che la domanda di metallo prezioso sta salendo ma anche che si muove e va a sedimentarsi al di fuori dei circuiti regolamentati e monitorati. Per Goldman Sachs questa dinamica ha tre spiegazioni.

Primo, l’ovvio tentativo di utilizzare barre e lingotti come strategia di hedging dai rischi geopolitici, un qualcosa che vede però in prima fila le Banche centrali, quindi soggetti che operano in maniera trasparente rispetto agli acquisti. Secondo, soggetti che vogliono tutelare la loro ricchezza personale da eventuali sanzioni come patrimoniali o addirittura espropri, visto che nascondendo oro in un caveau privato si rende la vita più complicata al governo “predatorio” di turno.

Terzo, si temono scenari politici ed economici talmente estremi da voler addirittura bypassare qualsiasi tipo di entità finanziaria di intermediazione tracciabile, non solo per tutelare l’anominato ma anche per evitare anche il minimo rischio di controparte relativamente a quelle posizioni su metallo prezioso.

Insomma, qualcuno teme che alle viste ci siano tempi davvero cupi sui mercati e nelle società occidentali. Tali da portare con loro una richiesta emergenziale e di massa del bene rifugio per antonomasia capace di svelare, una volta per tutte, il trucco dell’oro di carta, ovvero la quantità minima di oro fisico a disposizione rispetto al numero invece spropositato di futures trattati.

Se per caso si arrivasse a uno scenario in cui anche una minima parte di detentori di quei contratti chiedesse la consegna dell’oro fisico sottostante, il mercato salterebbe un minuto dopo sulla catena di controparte.

Meglio, quindi, la ricetta di Zio Paperone. Ma, come anticipato, non soltanto l’oro sta vivendo il particolare fenomeno della sparizione, anche le banconote. Ovvero, il tanto vituperato contante che le autorità vorrebbe sempre più ridimensionare a favore delle transazioni elettroniche e di una cashless society.

A detta del Wall Street Journal, il fenomeno sta prendendo dimensioni tali da portare “le Banche centrali a comportarsi sempre più come dei detectives, intente a risolvere il mistero del perché e del dove si nasconda tutto quel denaro“.

I numeri, d’altronde, parlano chiaro: degli 1,7 trilioni di dollari in contanti circolanti nel 2018 (in aumento rispetto agli 1,2 trilioni di cinque anni prima), la maggioranza è infatti divenuta da prima offshore rispetto al mercato interno Usa e poi letteralmente sparita, in ossequio allo status di secondo bene rifugio preferito al mondo del biglietto verde (dopo l’oro, ovviamente).

Rud Judson, economista della Fed, nel 2017 scrisse in un documento che circa il 60% delle banconote Usa circolanti e il 75% di quelle da 100 dollari – i mitici Benjamins – avevano lasciato il Paese alla fine del 2016, un totale di circa 900 miliardi denominati in greenbacks e detenuti all’estero. Per Judson “quel tipo di detenzione garantisce un certo tipo di protezione contro le tensioni economiche, soprattutto in Paesi con una storia di instabilità conclamata all’interno dei propri sistemi finanziari”.

Ma non solo, perché fra i popoli con maggiore tendenza ad ammassare contante ci sarebbero australiani, svizzeri e tedeschi. Insomma, non esattamente il Terzo Mondo o l’epicentro di rivolte e guerre civili.

E se qualche accademico si spinge a ipotizzare rischi sistemici dal fatto che una non precisa conoscenza della quantità di contante in circolazione possa portare le Banche centrali a incorrere in errori di calcolo rispetto ai tassi di inflazione attesi, proprio in Germania si bada più al sodo. Come fa Sven Bertelmann, responsabili del centro analisi della Bundesbank a Mainz, a detta del quale “la gente nasconde denaro contante ovunque.

A volte le banconote sono sepolte in giardino, dove ovviamente cominciano a decomporsi o nascoste in soffitte a cantine, dove vengono mangiate dai topi o danneggiate dall’umidità. A volte, chiudono il denaro dentro buste di plastica e lo nascondo in posti che poi ci si scorda, talmente è ormai automatico il gesto. Ci sono stati casi molto frequenti di sequestri e rinvenimenti, legati a inchieste, al termine dei quali ci siamo ritrovati a mettersi insieme i pezzi di denaro come fossero un puzzle”.

Ma quanto denaro è finito fuori dai radar ufficiali in Germania? A detta della Bundesbank, oltre 150 miliardi di euro sono stati stoccati fuori dal sistema solo negli anni post-crisi finanziaria. Questo grafico, contenuto nell’ultimo studio sul tema di JP Morgan, sembra gettare acqua sul fuoco, visto che a detta dei responsabili della Bce, ad oggi il trend nella circolazione delle banconote non mostra anomalie. Ma a contrastare questa vulgata ottimistica ci pensano due dati di fatto.

Primo, l‘implementazione della politica di tassi negativi potrebbe incentivare sempre di più il ritiro del contante dai conti correnti e la sua detenzione in forma “privata”, soprattutto se gli istituti cominceranno a trasmettere i costi del denaro imposti dall’Eurotower anche ai clienti retail, come già minacciato da alcuni grossi nomi tipo Deutsche Bank.

Secondo, il fatto che proprio il responsabile del dipartimento della Bce chiamato a sovrintendere la circolazione del contante in seno alla Currency Management Division, Henk Esselink, non più tardi dello scorso settembre abbia lanciato il seguente appello alle opinioni pubbliche dell’eurozona: “Tutti dicono che non stanno nascondendo o ammassando privatamente banconote ma i numeri parlano chiaro, quel denaro è chiaramente da qualche parte. E non nelle banche o nel sistema“.

E se ogni anno in Australia, stando a dati della banca centrale, circa 7,6 miliardi di dollari (5,2 miliardi in dollari Usa) vengono letteralmente “persi” fra spiagge e cuscini del divano in tentativi di occultamente degni di gatto Silvestro, significa che il trend non è più ascrivibile a una paranoia da day after passeggera o alle mosse da Goldfinger di qualche appartenente ai lucky fews dell’1%.

Nel mondo post-Lehman e governato dalle Banche centrali, è la ricetta di Zio Paperone quella che risulta apparentemente vincente. Nella speranza che chi – comportandosi come Peppone con la vincita segreta al Totocalcio nascosta nel baule e affidata a Don Camillo – sta preparandosi al peggio, alla fine non risulti essere stato solamente un risparmiatore previdente e avveduto. Perché in quel malaugurato caso, rintracciare i flussi invisibili di oro e banconote rappresenterà l’ultima delle priorità.