Corriere della Sera, 19 dicembre 2019
A gennaio il Senato dovrà decidere se far processare o meno Matteo Salvini accusato di sequestro di persona per il caso Gregoretti
Un anno dopo, si ricomincia daccapo. A inizio 2020 il Senato dovrà decidere se far processare o meno Matteo Salvini accusato di sequestro di persona per il caso Gregoretti, dal nome della nave militare con 131 migranti a bordo cui vietò lo sbarco l’estate scorsa, fra il 27 e il 31 luglio; esattamente come accadde a inizio 2019 nel caso Diciotti, 177 persone lasciate sull’omonima nave nell’estate precedente, dal 20 al 25 agosto 2018. Con una differenza politica sostanziale: un anno fa Salvini era ministro in carica del governo Lega-Cinque Stelle, stavolta è un ex ministro all’opposizione del governo Cinque Stelle-Pd. All’epoca la maggioranza negò l’autorizzazione a procedere, ora è cambiato tutto. Ma sul piano giuridico e giudiziario le due vicende sono quasi perfettamente sovrapponibili.
Anche in questa occasione il tribunale dei ministri di Catania (i giudici Nicola La Mantia, Paolo Corda e Sandra Levanti, gli stessi del caso Diciotti e del caso Sea Watch, per il quale a giugno decisero l’archiviazione) contesta «al senatore Matteo Salvini, nella sua qualità di ministro», di avere «bloccato la procedura di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale di questi ultimi». Attraverso la violazione delle «convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e correlate norme di attuazione», e con due aggravanti: «abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate» e aver commesso il fatto «anche in danno di soggetti di minore età». Cambiando il nome della nave, le date e il numero dei migranti «sequestrati», è la fotocopia del capo di imputazione del caso Diciotti: permesso di approdo reiteratamente negato, finché non fu promessa la redistribuzione dei profughi in altri Paesi europei.
Come nel caso precedente, la Procura di Catania aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, ma con motivazioni differenti: mentre per la Diciotti ritenne che la scelta di Salvini fosse un atto politico «insindacabile» dal giudice penale, stavolta avrebbe valutato che tre giorni d’attesa sulla Gregoretti, con tanto di assistenza medica e distribuzione di viveri, non possono considerarsi una «illegittima privazione della libertà». Anche in considerazione del fatto che le restrizioni alla libera circolazione dei migranti dopo lo sbarco sono proseguite nell’hotspot di Pozzallo e nei centri di accoglienza.
Il tribunale dei ministri ha deciso diversamente dopo aver ascoltato testimoni e studiando le leggi. Compreso il decreto sicurezza-bis varato a giugno, che però consente al titolare del Viminale di vietare o limitare l’ingresso nelle acque territoriali «salvo che si tratti di naviglio militare o navi in servizio governativo»; come la Gregoretti, fa notare il senatore-ufficiale di Marina Gregorio De Falco.
Da oggi la Giunta del Senato guidata dal presidente forzista Maurizio Gasparri avrà 30 giorni di tempo per decidere che cosa proporre all’assemblea di palazzo Madama: via libera al processo oppure no. Poi il voto decisivo dell’Aula, entro due mesi. Salvini potrà chiedere di essere sentito o inviare una memoria difensiva, come fece per la Diciotti quando la mandò corredata dalle dichiarazioni di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli (il grillino all’epoca ministro delle Infrastrutture), i quali sostennero di avere «politicamente condiviso» il «no» dell’ex ministro allo sbarco. Aprendo la strada ai Cinque Stelle per salvarlo dal processo. Anche il caso Gregoretti fu gestito da Salvini con i grillini nello stesso governo, sebbene la convivenza fosse ormai agli sgoccioli. E Maio s’è già dissociato da quella scelta.