La Stampa, 19 dicembre 2019
Visco in bilico per PopBari
Roma, ieri. Nelle sale barocche del Quirinale è l’ora degli auguri di fine anno. C’è la Roma dei palazzi che contano, politici, giudici, alti funzionari. E c’è il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, nel vortice per la vicenda della Popolare di Bari. Fra gli invitati non si parla che di questo e del destino della legislatura. «Chi ci attacca fa errori di fatto e di diritto», dichiara Visco in un’intervista al Financial Times. Eppure fra gli advisor legali e finanziari che si sono avvicendati attorno all’ultima grande banca del Sud il commissariamento era auspicato da mesi. Secondo quanto risulta a La Stampa da tre fonti diverse, fra Roma e Bari la decisione era attesa sin da giugno, quando ormai era chiaro che il tentativo di unire l’istituto pugliese ad altre realtà più piccole con una norma ad hoc di incentivo fiscale non avrebbe funzionato. Al netto delle rassicurazioni fatte dai vertici al management, a ottobre la decisione era valutata come «inevitabile». Nel frattempo, a fine luglio, il presidente Marco Jacobini – uno dei principali artefici del dissesto – aveva lasciato le redini della banca al nipote Gianvito Giannelli con il voto dell’assemblea dei soci.
Perché la vigilanza abbia atteso così tanto per risolvere il pasticcio di Bari non è chiaro. Di certo nella maggioranza e nel governo c’è irritazione per quanto accaduto nelle ultime due settimane, quando sono iniziate a filtrare le iniziative della magistratura contro i vertici e il salvataggio della banca si è fatto urgente. Spiega un’autorevole fonte di governo Pd che chiede di restare anonima: «Non c’è dubbio che a via Nazionale si siano mossi con lentezza. Ma quando il commissariamento è diventato inevitabile ci è stato sollecitato il decreto». In una riunione riservata della maggioranza convocata una settimana prima della decisione – era venerdì 6 dicembre – si inizia a discutere concretamente di aprire la rete pubblica alla banca, senza alcuna certezza sulle decisioni di Banca d’Italia. Ci sono Conte, Gualtieri, Di Maio, Dario Franceschini, Roberto Speranza, il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. È possibile che il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro siano avvertiti di un provvedimento imminente, fatto è che il renziano Luigi Marattin, spalleggiato da Pd e Cinque Stelle, vincola il decreto di salvataggio all’atto preventivo di via Nazionale. La polemica innescata da Renzi e Di Maio allarma Bankitalia, a quel punto preoccupata all’idea che il commissariamento senza garanzie statali provochi il panico fra i risparmiatori.
Il resto è storia recentissima. Una settimana dopo – è venerdì 13 – il governo vara un complicato intervento attraverso Invitalia e Mediocredito Centrale che Conte aveva negato fino a poche ore prima. Spiega ancora la fonte di governo Pd: «Al netto delle responsabilità della vigilanza, è innegabile che qualcuno stia soffiando sul fuoco per far saltare la nomina di Daniele Franco a direttore generale di Banca d’Italia». Franco, fino a qualche mese fa Ragioniere generale dello Stato, aveva rinunciato alla conferma dopo molti confronti muscolari con i Cinque Stelle su vari provvedimenti di spesa. Nonostante questo, a valle dell’indicazione di Fabio Panetta a membro italiano del board della Banca centrale europea, Franco è tuttora il candidato naturale alla poltrona di numero due dell’Istituto. La scelta del nuovo presidente della Commissione di inchiesta sulle banche sarà la cartina di tornasole del clima che si respira nei Palazzi: ieri il leader dei Cinque stelle Di Maio ha annunciato il «passo di lato» del senatore Elio Lannutti.