La Stampa, 18 dicembre 2019
Di Maio media tra Haftar e al-Sarraj
«Nei prossimi giorni l’Italia nominerà un inviato speciale per la Libia, una figura di alto profilo che rappresenterà il nostro Paese e risponderà direttamente alla Farnesina». Il ministro degli esteri Luigi Di Maio atterra a Ciampino dopo la visita lampo a Tripoli, Bengasi e Tobruk con l’annuncio di un rilancio diplomatico a tutto campo. «È stata una giornata densa di appuntamenti, l’Italia ha indubbiamente perso terreno il Libia ma è il momento che recuperi il suo ruolo naturale e dia una mano in un Paese amico, vicino, a rischio terrorismo e nel pieno di una grave crisi umanitaria», spiega Di Maio. Nel giro di poche ore l’ha ripetuto come suggello di un impegno personale ai suoi due interlocutori principali, il premier Fayez al Sarraj e l’avversario irriducibile Khalifa Haftar, il primo da risentire al telefono stamattina stessa e il secondo atteso a Roma già nelle prossime settimane.
La missione del ministro degli Esteri nasce dall’urgenza imposta alla partita dall’entrata a gamba tesa della Turchia, pronta a intervenire militarmente al fianco del Governo di accordo nazionale (Gna). A Tripoli Di Maio è andato per porgere la mano ai fini di «una soluzione negoziale» ma soprattutto per fare pressione affinché al Sarraj congeli il patto con Erdogan («sono accordi critici a partire dai confini marittimi», dice) e tenga lontani i suoi soldati. Le parole di Di Maio ai leader del Gna su questo sarebbero state molto nette: la Turchia non deve intervenire militarmente, non potete farli entrare. Una preoccupazione che, al netto di tante differenze, accomuna Roma a Parigi e Berlino
Dall’entourage del premier libico riferiscono di aver apprezzato, ha apprezzato anche Misurata, la potente città-Stato il cui sostegno al Gna, al netto del recente malumore di alcune milizie per il ritardo nel pagamento degli stipendi, non è mai venuto meno. Però, con la pressione dei bombardamenti alla periferia della capitale, hanno messo i loro paletti fermi, ribadendo che prima di qualsiasi potenziale negoziato Haftar deve rinunciare all’offensiva e tornare da dove è venuto, ossia a Bengasi.
L’Italia gioca di rimessa. A seguito di mesi di assenza il nostro Paese torna a mettere nelle mani nella conflittuale eredità post Gheddafi e lo fa cercando d’inserirsi tra i tanti giocatori in campo. Dopo aver incontrato al Sarraj, Haftar ma anche il vice premier Maitig, il ministro degli Esteri Siala, il presidente della camera dei rappresentanti Aguila Saleh, Di Maio vuole allargare il tavolo: «Parlerò con il segretario di Stato americano Mike Pompeo, con il ministro degli Esteri turco e con quello russo, ci sono molti attori in Libia, qualsiasi interferenza non è una buona notizia per la pace e per questo dobbiamo essere in contatto con diversi Paesi e spingere sul ruolo dell’Italia e dell’Unione EUropea». Roma, sottolinea più volte, «appoggia gli sforzi dell’inviato delle Nazioni Unite Salamé» e la piattaforma da cui partire è la conferenza di Berlino, pianificata per fine gennaio. Le carte in mano non sono buone. Con Haftar Di Maio ha insistito sul nuovo approccio, vale a dire basta con le foto di summit inconcludenti e lavorare agli interessi comuni. Nelle ore in cui dialogava con Sarraj a Tripoli, un C-130 prelevava a Bengasi 5 bambini con gravi malattie per trasportarli al Bambin Gesù di Roma, una missione umanitaria a sfondo diplomatico. Haftar, ci riferiscono, è soddisfatto. Tripoli anche. In sottofondo però si continua a sparare, sempre più vicino.