Corriere della Sera, 18 dicembre 2019
Haftar avanza. Cronaca di una giornata a Tripoli
Le ore più difficili sono dalle sette di sera alle quattro di mattina. I bombardamenti diminuiscono sino quasi a cessare prima dell’alba. Ma rispetto allo scorso agosto nella notte sono molto più intensi, violenti, minacciosi. Ieri verso le venti echeggiavano cupi per le vie del centro, sino alle mura medioevali della cittadella vicino al lungomare.
«Le truppe di Khalifa Haftar ci attaccano, avanzano, quindi si ritirano. È una strategia a fisarmonica. Usano soprattutto droni. Arrivano dall’Egitto, dalla Russia, dagli Emirati. Volano alti e mirano alle basi delle nostre brigate. Ma poi con la prima luce del giorno tornano indietro. Perché per loro resta il problema di sempre: non hanno abbastanza uomini per controllare il territorio conquistato», ci racconta il giovane miliziano incontrato presso i posti di blocco che presidiano il quartiere di Salahaddin, uno dei più colpiti, dove la ritirata delle milizie è stata più evidente. Intendiamoci, si parla di un ripiegamento di 4 o 5 chilometri in tre mesi. Ma non è poco, ormai è piena zona urbana. Qui siamo già dentro Tripoli, il centro città si trova a 9 chilometri, prima erano quasi quindici.
E i russi? Dove sono i contractor della Wagner, che tanto hanno determinato gli esiti dei combattimenti in Siria e nel Donbass ucraino? «Ci sono. Ma in genere stanno lontani dalle prime linee. I più esposti funzionano come cecchini. Hanno ottimi fucili con sistemi di puntamento d’avanguardia. Per il resto stanno nelle loro basi a Tarhouna e presso Garian, quasi cento chilometri dalle periferie di Tripoli. Fanno funzionare i centri radar per i droni, addestrano i soldati di Haftar».
Nessuno sa bene quanti siano. Se fossero quasi duemila, come afferma qualcuno, avrebbero già conquistato tutta la città. Però contano, stanno cambiando gli equilibri della battaglia di Tripoli. Infatti nelle zone di Sheba, del cosiddetto «progetto delle banane», dei quartieri di Suk Jumah, Azizia e Salahaddin, prima occupavano solo alcune strade, adesso grosse fette di territorio sono saldamente nelle loro mani.
Per il resto Tripoli non sembra molto diversa da quando l’abbiamo vista l’ultima volta quattro mesi fa: traffico intenso, negozi aperti, energia elettrica col contagocce, ma ancora tanta gente ai tavolini dei bar e ristoranti. Il tardo pomeriggio nella centralissima piazza dei Martiri si svolgono piccole manifestazioni di nostalgici della rivoluzione del 2011. Ieri sera se la prendevano con l’Italia, «che non fa niente e si lascia irretire da Haftar». «Perché mai il vostro ministro Di Maio ha avuto bisogno di incontrare quel dittatore?», gridava tra gli altri il 53enne Abdel Rauf Minnai, ex deputato contrario a qualsiasi dialogo con l’uomo forte della Cirenaica. Intanto però l’aeroporto di Mitiga ha ripreso a funzionare. Non tanto regolarmente a dire il vero. Ma era dai primi di settembre che le bombe cadute vicine alle piste avevano indotto a deviare il traffico aereo su Misurata, oltre 200 chilometri più a est.
Pure, la sofferenza si fa sentire. Si valutano circa 4.000 morti e almeno 8.000 feriti per la battaglia di Tripoli. I grandi complessi di grattacieli e case popolari in costruzione nel quartiere di Sikka una volta erano disabitati: i tetti ancora da terminare, edifici di cemento grezzo privi d’infissi. Polverosi e afosi d’estate, freddi e umidi d’inverno. Adesso però sono abitati da migliaia di sfollati. Pare siano oltre 200.000 quelli scappati dalle aree colpite. Soltanto da mercoledì a sabato scorso sembra siano morti una sessantina di soldati di Haftar. I civili che abitavano nelle zone degli scontri sono ora tutti accampati nei quartieri edili abbandonati.
A ciò s’aggiunge l’incognita delle «quinte colonne», una sorta di ben armata rete di cellule dormienti di simpatizzanti di Haftar che sarebbero pronti ad insorgere. Starebbero nella zona della tribù dei Warshafanna, ad Azizia, Abu Selim, Tajura, Tashlun, che poi a guardare bene sono i quartieri dove Gheddafi era più popolare. La notte le milizie di Tripoli effettuano retate preventive. In realtà tuttavia di queste mitiche rivolte si è visto ben poco. Ciò ricorda da vicino le ormai inflazionate «ore zero» e «offensive finali» dichiarate almeno quattro volte da Haftar e dai suoi portavoce militari a partire dal 4 aprile, assieme a una pletora di annunci trionfanti, seguiti però da lunghe tregue e lo stallo della battaglia.