la Repubblica, 18 dicembre 2019
Il Papa ha abolito il segreto pontificio per i reati sessuali. Da oggi tutti i tribunale possono chiedere le carte al Vaticano
Una svolta storica per il Vaticano e con un significato politico interno notevole. Con due documenti Francesco abolisce il segreto pontificio nei casi di violenza sessuale e di abuso su minori commessi dai chierici e decide, insieme, di cambiare la norma riguardante il delitto di pedopornografia facendo ricadere nella fattispecie dei delicta graviora – i delitti più gravi – la detenzione e la diffusione di immagini pornografiche che coinvolgano minori fino all’età di 18 anni. In questo modo, Bergoglio mette de facto i vescovi locali nell’impossibilità di invocare – così taluni hanno fatto fino a ieri – il segreto pontificio quando le autorità civili locali chiedono documenti e collaborazione sui casi di pedofilia in cui sono incriminati sacerdoti sotto la loro responsabilità. Questo alibi, che tanto ha fatto soffrire il Papa in questi mesi, con una Chiesa che in merito è sembrata procedere a due velocità, cade una volta per tutte: un segnale forte dato proprio a quella parte di episcopato ancora omertosa, sempre pronta a minimizzare i crimini, e dunque contraria al nuovo corso messo in campo già negli ultimi anni del pontificato di Joseph Ratzinger. Insieme, la nuova disposizione è un braccio teso alle vittime che, come dice a Vatican News Charles Scicluna, segretario aggiunto dell’ex Sant’Uffizio, «non avevano l’opportunità di conoscere la sentenza che faceva seguito alla loro denuncia, perché – appunto – c’era il segreto pontificio».
Il processo che ha portato fin qui è stato lungo. Dopo la mossa di Ratzinger di dare per primo ascolto alle vittime, un peso decisivo l’ha avuto il viaggio di Francesco in Cile nel gennaio 2018. Lì il Papa disse di non credere alle accuse delle vittime «per mancanza di informazione veritiera ed equilibrata» e con loro arrivò a usare la parola «calunnia». Fu l’episcopato locale a sviarlo. Quando capì cosa era veramente accaduto, arrivò a fare mea culpa e quindi prese la decisione di portare – lo scorso febbraio – le vittime in Vaticano. Nel summit sulla pedofilia furono loro a parlare davanti a cardinali e vescovi. Un cambio di paradigma non da poco, per una Chiesa abituata a rapporti verticali e in alcune sue parti poco propensa all’ascolto. Dal summit le vittime uscirono tuttavia non contente per la mancanza di decisioni reali. Non così oggi: è «un passo concreto», dice non a caso Francesco Zanardi, vittima degli abusi di un sacerdote all’età di 11 anni e oggi presidente della rete “L’Abuso”. La decisione del Papa, conferma il direttore editoriale di Vatican News Andrea Tornielli, è proprio «frutto» di quel summit.
Da oggi le denunce, le testimonianze e i documenti processuali relativi ai casi di abuso conservati negli archivi dei dicasteri vaticani, come pure quelli che si trovano negli archivi delle diocesi, possono essere consegnati ai magistrati inquirenti dei rispettivi Paesi che li richiedano. La volontà di apertura, disponibilità, trasparenza e collaborazione con le autorità civili è, insomma, evidente, nonostante le informazioni siano trattate in modo da garantirne la sicurezza, l’integrità e la riservatezza delle persone coinvolte. Ma nel giorno in cui Francesco accetta la rinuncia all’incarico di nunzio apostolico in Francia presentata da Luigi Ventura, sotto indagini per molestie sessuali, anche la seconda norma risulta essere importante. Riguarda il fatto che da oggi Oltretevere ricade tra i delitti più gravi l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori di diciotto anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento. Fino a ieri, quel limite era fissato a quattordici anni.