la Repubblica, 18 dicembre 2019
Dove vanno a curarsi i preti pedofili
Don Ermes Luparia, 69 anni, diacono permanente, psicologo e psicoterapeuta, guida la Comunità del Monte Tabor al Divino Amore di Roma. È uno dei pochi centri italiani che accoglie presbiteri e suore dall’Italia e dall’estero sofferenti per diverse forme di disagio; fra loro sacerdoti pedofili. La sua comunità è stata visitata anche da Francesco in uno dei suoi personali venerdì della Misericordia.
Don Ermes, perché preti che hanno commesso abusi sessuali su minori vengono da voi?
«Li mandano i vescovi quando le accuse sono conclamate, ma il processo civile ancora non è giunto a conclusione. Siamo un’unità terapeutica a tutti gli effetti».
Cosa significa?
«Che vengono a curarsi, a comprendere tramite percorso terapeutico cosa li ha spinti a commettere crimini inaccettabili».
Le autorità civili sono informate?
«Nessuno entra se le autorità non acconsentono. Le autorità di pubblica sicurezza sono a conoscenza della nostra correttezza».
Svolgete anche una funzione preventiva?
«I vescovi li mandano da noi anche per evitare che commettano altri abusi, certo».
Cosa accade appena arrivano?
«Seguiamo una prassi. Solitamente tutti vengono qui per obbedienza al vescovo. Così facciamo un primo colloquio per valutare se dietro all’obbedienza c’è consapevolezza del crimine commesso. Già dalle prime risposte facciamo una prognosi utile al prosieguo della terapia».
Come trascorrono le giornate?
«Siamo una fraternità sacerdotale. I preti e i religiosi che ospitiamo vengono da noi per motivi diversi. Si va dalla semplice crisi vocazionale o di burnout a forme patologiche in grado di indurre una grave sofferenza. I casi di pedofilia sono ridotti, ma purtroppo non si può negare che esistano. A tutti chiediamo di fare vita comunitaria».
Cioè?
«Lodi e messa al mattino, poi ognuno ha un compito. C’è chi cucina, chi cura l’orto. Il nostro è un percorso olistico, globale. Terapia e vita in comune vanno di pari passo».
Le regole possono essere disattese?
«Chi sta con noi deve seguirle. La preghiera, ad esempio, non va elusa.
Occorre una vita di un certo tipo per sanare certe ferite».
Il percorso sanitario è certificato?
«È fatto di colloqui documentati da fatture sanitarie, certo, che testimoniano il percorso fatto».
Quando il processo civile arriva a sentenza cosa succede?
«Se è previsto il carcere, il prete viene accompagnato in carcere. Spesso, grazie al percorso fatto, vi arriva con una consapevolezza nuova».
Il percorso garantisce a chi si cura la guarigione?
«Nessuno può garantire che certi crimini non si ripresentino. Noi facciamo di tutto perché certi comportamenti vengano messi definitivamente da parte. Vorrei dire che solo la Chiesa propone questo percorso. Altri pedofili stanno in carcere senza che nessuno li abbia curati e abbia dato loro consapevolezza».
I vescovi tornano a trovarli?
«Sì, ma troppo poco. Mi piacerebbe venissero qui più spesso».
Quante sedute fanno a settimana?
«Due».
Chi viene accolto può uscire quando vuole?
«Dipende. Alcuni sì, altri no».
Sono tanti i casi di pedofilia nella Chiesa?
«Sono molto rari, tuttavia seppure rari esistono e occorre combatterli».
Se vi accorgete che un sacerdote può essere pericoloso cosa fate?
«Abbiamo il dovere, anche secondo i princìpi che regolano il nostro lavoro e le relazioni con gli ordinari, di informare subito il superiore invitandolo e consigliandolo a prendere provvedimenti. Il pericolo di vita, e il pericolo di scandalo (che contempla anche la pericolosità sociale) sono una liberatoria dai principi della privacy».