il Giornale, 18 dicembre 2019
Ha un nome l’architetto della Torre di Pisa
Andrea Cuomo
A giudicare dal risultato, probabilmente non ci sarebbe stata la fila per fargli progettare altro. Motivo per cui l’architetto autore della Torre di Pisa, il campanile della Cattedrale di Santa Maria Assunta nella piazza dei Miracoli, ha sempre preferito l’anonimato a una pubblicità che non sarebbe stata molto positiva. Vai a sapere che poi quel fallimento progettuale, il cedimento del terreno sottostante che sin dalle prime fasi rese la bianca torre pendula, sarebbe stata la chiave del suo successo, trasformando quello pisano in uno degli edifici più popolari al mondo.
Eterogenesi dei fini, il fallimento che diventa trionfo. Un destino che in fondo la torre pisana condivide con la collega parigina di Gustave Eiffel, considerata una bruttura all’epoca del suo montaggio, per l’esposizione universale del 1889, e allora a un passo dall’essere demolita per non turbare ulteriormente i delicati occhi dei parigini e oggi monumento tra i più visitati della Terra.
Oggi l’autore di quello scempio diventato icona avrebbe buone ragioni per inorgoglirsi: in fondo se Pisa è nelle rotte del turismo mondiale il merito è quasi esclusivamente di quell’epic fail edilizio. Già, ma chi è l’autore di quello scempio? Fino a oggi l’attribuzione non è stata certa: c’è chi sosteneva che l’autore (o il colpevole?) fosse l’architetto pisano Diotisalvi, che proprio nello stesso periodo, la seconda metà del XII secolo, costruiva il vicino battistero, mentre qualcun altro tirava in ballo tale Ghirardi. Da oggi invece pare che ci sia un’attribuzione certa: l’architetto della torre sarebbe tale Bonanno Pisano, architetto e scultore e autore anche delle porte bronzee della cattedrale pisana. Va detto che già Giorgio Vasari aveva fatto il suo nome, ma molti storici dell’arte non erano convinti dell’attribuzione, che adesso sarebbe invece confermata – come riportato ieri dal dorso pisano della Nazione – da Giulia Ammannati, una ricercatrice di paleografia alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel libro «Menia Mira Vides. Il Duomo di Pisa: le epigrafi, il programma, la facciata» pubblicato dagli Istituti editoriali e poligrafici internazionali. La studiosa avrebbe finalmente decrittato una iscrizione scoperta durante alcuni scavi nel 1838 su una matrice in pietra murata alla base del campanile, a sinistra della porta d’ingresso, e sulla cui interpretazione gli studiosi si sono rotti la testa per decenni prima di lasciar perdere. Per la Ammannati il testo sarebbe la parte finale di un esametro che, grazie a integrazioni e confronti basati su una vera e propria investigazione carattere per carattere, alla fine reciterebbe così: «Mirificùm cui cèrtus opùs condéns statui ùnum, Pìsanùs civìs Bonànnum nòmine dìcor». La cui traduzione è: «Io che sicuro ho innalzato, fondandola, un’opera mirabile sopra ogni altra, sono il cittadino pisano chiamato Bonanno». Vasari aveva ragione.
Resta solo una curiosità: perché il Bonanno che nell’iscrizione appare così gonfio di orgoglio per la sua creazione, non si è più avanti attibuito la paternità del campanile? Probabilmente perché nel frattempo la torre ha iniziato a pendere a causa del cedimento avvenuto più o meno a metà dell’opera e a quel punto il Bonanno, come scrive Ammannati «non pose in opera la sua firma, scoraggiato dal destino avverso». Di certo non doveva esser facile tirare su il morale dell’architetto con frasi come: «Ehi Bonanno, che faccia! Che cosa è andato storto?»,