La Stampa, 18 dicembre 2019
La Luna come un’immensa miniera
Quando sei una mini-nazione come il Lussemburgo globalizzarsi significa guardare al di là della Terra. Verso asteroidi e comete. Se si è già impegnati nel settore dell’industria mineraria, perché non allargarsi all’estrazione di metalli pregiati e di acqua nello spazio? E allora diventa strategico il prestito di 26 milioni di dollari alla società statunitense Planetary Resources per mettere a punto le tecnologie: già nel 2020 i suoi tecnici invieranno il satellite sperimentale «Arkyd 6» a caccia di risorse.
Di qui a qualche anno ci proverà anche un sonda della Nasa. La destinazione si chiama Psyche 16, enorme sasso butterato di 250 chilometri di diametro in orbita nella fascia tra Marte e Giove. Lo scopo è esplorarne gli immensi depositi di nickel e ferro, oltre che di oro e platino. Da solo potrebbe valere la sbalorditiva cifra di 700 quintilioni di dollari. Intanto, più vicina a noi, ma non meno tentatrice, c’è la Luna. Se i non addetti ai lavori continuano a osservarla come il palcoscenico romantico delle imprese dell’Apollo e dei suoi astronauti-supermen, un gruppo di specialisti ha iniziato a studiarla come un contenitore di sostanze e metalli. Una sterminata miniera, appunto. Che contiene, tra l’altro, acqua e regolite, ferro e titanio. Per non parlare delle prospettive legate all’elio-3 e delle possibilità di sfruttamento intensivo dell’energia solare.
All’Università Bocconi di Milano, al «SeeLab», il «research laboratory on the evolution of the space economy», si stanno elaborando i primi e controversi calcoli: il suo direttore è Andrea Sommariva ed è stato tra i partecipanti del «New Space Economy European ExpoForum», la prima manifestazione a 360° dedicata allo spazio, organizzata da Fiera Roma e Fondazione Amaldi. «Non abbiamo ancora un report geologico preciso – ha spiegato il professore – e al momento i costi di riportare quelle risorse sulla Terra sarebbero esorbitanti, ma possiamo pensare di utilizzarle in futuro per produrre il propellente destinato ai viaggi spaziali a partire proprio dalla Luna». Il nostro satellite, così, diventa il candidato ideale per un duplice traguardo: il luogo dove ospitare una base permanente di ricerca, sul modello di quelle che oggi esistono in Antartide, e il trampolino infrastrutturale con cui organizzare le missioni nel Sistema Solare, a cominciare dalle spedizioni umane con destinazione Marte. L’acqua rappresenta un elemento essenziale e sulla Luna – ha sottolineato il planetologo e geologo Gian Gabriele Ori – «si trova in grandi quantità, anche se non ne conosciamo con esattezza la distribuzione, se in forma solo solida o anche interstiziale e, ancora, incollata ai grani delle rocce».
Di sicuro, un po’ alla volta, la direzione intrapresa, da agenzie governative e da businessmen visionari, «è quella dell’economia lunare», ha enfatizzato Bernard Hufenbach, a capo del settore della pianificazione strategica dell’Esa: «Un’anteprima è il Lunar Gateway, la stazione che sarà realizzata in orbita intorno alla Luna». Ideata dalla Nasa, in collaborazione con i partner europei, servirà da ponte per un avamposto selenico in progress: dalle ricerche si passerà via via allo sfruttamento e alla produzione, prima di tutto di carburanti. L’Esa ha dato un nome a questa prospettiva: «Space resource strategy».
«E così la Luna – ha commentato Sommariva – entrerà a far parte dell’economia terrestre». Un ’economia per la seconda metà del XXI secolo in grado di dare la spinta alla trasformazione di noi stessi. «Saremo una specie multiplanetaria»: è la profezia di Michelle Hanlon, direttore del «Centro per le leggi dello spazio» della University of Mississippi.