il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2019
Che fare con le sardine
Com’era naturale e prevedibile, appena si sono riunite per parlare di programmi, le Sardine hanno cominciato a discutere. E, come chiunque discuta, a dividersi. Nulla di strano o scandaloso: un conto è organizzare bellissime manifestazioni di piazza per levare il monopolio a Salvini&C., un altro è mettere nero su bianco un manifesto politico o una dichiarazione d’intenti. La domanda è: ma che bisogno hanno le Sardine di un programma, visto che giustamente non vogliono diventare un partito né presentarsi alle elezioni? Dopo due mesi di vita, tutti già le stressano e le tampinano perché dicano “cosa vogliono fare”, come se quello che già fanno non fosse abbastanza. Noi non abbiamo titoli per dare consigli, per giunta non richiesti. Però al posto di Mattia Santori&C. non partiremmo dal “che fare”, ma dal “che non fare”. E terremmo sempre a mente due definizioni degli italiani. Quella di Rudyard Kipling: “Un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici”. E quella di Winston Churchill: “Bizzarro popolo, gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. L’indomani 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”. Anche le Sardine in piazza sono italiane.
Poi, volendo esagerare, mi riguarderei il celebre sketch di Corrado Guzzanti nei panni di Fausto Bertinotti che teorizza la sinistra dei virus: “Dobbiamo continuare a scinderci sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti, indistinguibili l’uno dall’altro, che cambiano continuamente nome e forma e attaccano la destra come insetti invisibili. Compagni, sparite dal mondo del visibile, scindetevi e moltiplicatevi, diventate microorganismi politici neanche rilevabili dall’elettorato. La sinistra deve tornare a essere un mistero: sei tu che devi cercarla, ma lei sparisce continuamente. E poi un giorno, magari fra cent’anni, dopo vari colpi di Stato, una guerra nucleare e il mondo ridotto in macerie, la sinistra tornerà e dirà una cosa fondamentale. Mi ha cercato qualcuno?”. Non c’è miglior analisi degli eterni vizi che hanno dannato la sinistra nostrana: massimalismo, settarismo, velleitarismo, frazionismo, scissionismo e minoritarismo. Ecco: se vogliono durare e continuare a svolgere la loro funzione di anticorpi, le Sardine devono fare l’esatto opposto. E guardarsi da un’altra sindrome: quella di Brian di Nazareth, il personaggio dei Monty Python nato nei giorni di Gesù e, a 33 anni, scambiato per il Messia da una folla di fanatici e dementi solo perché ha detto alcune banalità assolute che quelli interpretano come messaggi divini.
Vedono miracoli dappertutto e si riducono ad adorare come reliquie una zucca vuota e un sandalo puzzolente. Brian prova a esortarli a ragionare con la loro testa, ma niente: più lo fa e più quella massa di superstiziosi e feticisti si convince che è proprio il figlio di Dio. Ecco: le cronache della riunione delle Sardine di domenica nel centro sociale occupato dai senzacasa segnalano tutti questi pericoli incombenti. Tant’è che Mattia Santori ha fatto benissimo a fare il leader e a ricordare chi ha fondato il movimento (lui e tre amici di Bologna); a mettere un po’ d’ordine fra le aspiranti o sedicenti Sardine ansiose di parlare per tutte in tv; e a difendere la scelta iniziale di enunciare pochi principi generali lasciando a chi fa politica l’onere di tradurli in pratica. Una scelta saggiamente “ecumenica” che ha consentito al movimento di portare in decine di piazze centinaia di migliaia di persone e di interessarne milioni, e che già il manifesto contro un non meglio precisato “populismo” e l’enunciazione dei 6 punti di San Giovanni – in parte molto discutibili, per le ragioni esposte sul Fatto da Barbara Spinelli – hanno parzialmente contraddetto. Bene ha fatto Santori, a costo di prendersi del “capetto” da qualche invidioso, a respingere al mittente i consigli tutt’altro che disinteressati delle mosche cocchiere, degli intellettuali organici, degli aspiranti ideologi e degli eterni imbucati a caccia di carri dei vincitori che vorrebbero trasformare un movimento giovane, fresco e creativo come le Sardine in un’associazione seriosa e barbosa di combattenti e reduci, nell’ennesima listarella de sinistra, nel solito gruppuscolo autoreferenziale e cacofonico di tromboni che mettono bocca su tutto senza sapere nulla e abbracciano tutte le cause perse dell’umanità. Qualcuno invocava una vibrante presa di posizione sul caso Regeni, come se chi scende in piazza con le Sardine ne sentisse il bisogno, e come se in Italia qualcuno plaudesse all’uccisione dello studente al Cairo. Altri patrocinavano la causa palestinese, anch’essa nobilissima ma lievemente fuori tema. Alcuni sognavano proclami sull’autonomia differenziata e l’ambiente (e perché non una soluzione facile facile per Ilva e Alitalia?). Altri ancora tuonavano contro i decreti Sicurezza, di cui probabilmente ignorano i contenuti, criticando Santori per aver detto che vanno modificati ma non cancellati perché contengono anche misure sensate. C’era pure chi strillava “riapriamo i porti”, avendolo letto su Repubblica o sul manifesto, che da mesi raccontano la balla dei “porti chiusi” a maggior gloria di Salvini. La risposta del leader non è stata ambigua o paracula, ma onesta e matura: “I temi politici specifici sono complessi, non si possono affrontare in una mattinata in modo adeguato”. Saggia prudenza, per un movimento in fasce strattonato da tutti perché prenda la laurea senz’aver fatto un giorno di asilo. Basta sapere che l’infanzia e l’adolescenza sono stagioni bellissime. Che il candore e l’ingenuità non sono vizi, ma virtù. E che nessuno può obbligare un bambino a invecchiare senza diventare adulto. Che vuoi fare da grande? Il piccolo, tiè.