Linkiesta, 17 dicembre 2019
il problema dei taxi a Milano
Uno dei grandi misteri della politica italiana è l’intoccabilità dei tassisti, temuti da chi governa più di un’eventuale calata della Troika o dell’ineluttabile impatto del global warming. I tassisti non si possono sfiorare nemmeno con una rosa, anche se nessuno sa per quale motivo godano di tale status privilegiato a fronte di un lavoro che privilegiato certo non è.
La mia teoria è che i tassisti siano i gruppi di Facebook prima di Facebook, ovvero la finzione di un dibattito pubblico, l’illusione di un contatto diretto con la società civile, la disintermediazione tra popolo ed élite, l’expertise di chi non sa una mazza, la fabbrica a getto continuo di teorie della cospirazione, di fake news e di tutto il resto (e, per quanto siano notoriamente analogici e restii alla contaminazione con app e carte di credito, avete mai provato a decrittare il raffinatissimo algoritmo che regola l’assegnazione del taxi alla stazione Termini di Roma?).
Il tema della mobilità con conducente non è certamente centrale per le sorti del paese, perché riguarda solo le città medio-grandi e le poche persone che si possono permettere di farsi accompagnare a pagamento in un posto, è un classico problema da primo mondo, ma proprio per questo non si capisce perché sia un argomento tabù.
Il sindaco di Milano Beppe Sala ha raccontato a Linkiesta Festival che dal 2006 a oggi il numero dei taxi milanesi è rimasto invariato, 4855 licenze, nonostante nello stesso periodo il numero dei turisti in città sia passato da due a quasi dieci milioni di visitatori l’anno.
Sala vorrebbe aggiungere 500 nuove licenze alle attuali, non tantissime ma meglio di niente, in considerazione anche dell’alto numero di chiamate inevase, oltre il 40 per cento dopo la mezzanotte di sabato. I tassisti rispondono che i taxi invece si trovano sempre tranne quando piove, quando ci sono le quattro settimane della moda, quando c’è quella del design, quando ci sono le altre grandi fiere e nel weekend. Cioè i taxi a Milano non si trovano quasi mai, considerato anche che alle fashion e design week si sono aggiunte altre settimane altrettanto importanti, come la Music Week, la Digital Week, Book City e altre decine di manifestazioni che rendono Milano la città che è, appena scelta dal Sole 24 Ore per essere quella con la migliore qualità della vita.
Il modello Milano, il dieci per cento del Pil, la città stato, the place to be, per non parlare del celeberrimo «Milano non restituisce» del ministro Peppe Provenzano, sono tutti slogan grotteschi se poi chi arriva in città per incontri di lavoro non riesce a muoversi e nel fortunato caso in cui invece trova il taxi deve litigare per pagare con il pos e per evitare piccole truffe sulla tariffa fissa per Malpensa.
Sala ci prova, ma per ora non ci riesce. I partiti di destra, quelli che in teoria dovrebbero avere a cuore il business, stanno con i tassisti e contro il business, a cominciare dalla Lega che guida la Regione fino a Forza Italia che da partito della rivoluzione liberale si è trasformato in custode degli interessi della categoria. Su Linkiesta, Chiara Colangelo ha condotto un’indagine in più puntate per raccontare le richieste e le esigenze di tutti i protagonisti della vicenda, riportando anche le possibili soluzioni e gli esempi positivi in giro per l’Europa, ma i politici competenti, sia quelli favorevoli alla concessione di maggiori licenze come l’assessore di Sala alla mobilità Marco Granelli, sia quelli contrari come l’assessore alla Regione Claudia Maria Terzi, hanno preferito non esporsi pubblicamente nonostante siano stati più volte sollecitati dalla nostra giornalista.
Nessuno si vuole inimicare i tassisti, i quali esprimono un pacchetto di voti che un tempo a Milano era appannaggio dei socialdemocratici, mentre a Roma restano indimenticabili i rappresentanti di categoria che ai tempi di Gianni Alemanno si fecero fotografare davanti al Campidoglio a salutare romanamente, in una specie di all’armi siam tassisti che ha fatto epoca. Ma a Milano stiamo parlando di meno di cinquemila persone: possibile che nessuno abbia il coraggio di amministrare tenendo conto anche degli interessi diretti e indiretti degli oltre undici milioni tra abitanti e turisti della città più avanzata d’Italia?