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 2019  dicembre 17 Martedì calendario

Le vere cause della bancarotta della Banca Popolare di Bari

Da Taranto a Bari ci sono meno di 90 chilometri. Due città colpite duramente da vicende economiche rilevanti: la crisi Ilva, con annessa questione spegnimento altiforni da parte di ArcelorMittal e Banca Popolare di Bari di cui Bankitalia ha dovuto avviare (l’ennesimo) commissariamento.

IL PROBLEMA NON È IL MERCATO Il commento che si sente più spesso fare, quando assistiamo a una bancarotta, è che si tratta di un «fallimento della logica di mercato». Un ragionamento che parla direttamente ad un ventre ferito, lacerato da una ferita fresca che reclama una cura, ma si tratta di un ragionamento che è un vero controsenso. La logica di mercato è tale proprio perché prevede che le cose che non funzionano falliscano. «Follow the money» si ripete più volte nel film Tutti gli uomini del presidente, che racconta – tra l’altro – il mestiere del giornalismo investigativo, un processo lungo e noioso pieno di vicoli ciechi e compiti monotoni, ma che risulta necessario per non delegare ai lettori l’intero percorso.

UNA CRISI CHE ARRIVA DA LONTANO La situazione della Banca Popolare di Bari era critica da molto tempo, almeno dal 2010 quando iniziarono a girare insistenti voci sull’utilizzo delle sue risorse; non era buona nemmeno quando lo Stato le chiese di intervenire in “salvataggio” di Banca Tercas (Cassa di Teramo), la quale – va ricordato – fu fatta acquisire dalla Pop Bari quando era già in amministrazione controllata, ma nonostante il regime di commissariamento era riuscita comunque a generare esigenze di bilancio.

IL VALORE DELLE AZIONI DETERMINATO DALLA BANCA STESSA Esigenze che la Popolare di Bari ha “risolto” come molte altre volte (e come molte altre banche: Pop Bari è infatti la dodicesima banca italiana che salta dal 2015), facendosi sottoscrivere nuove azioni da correntisti ignari o con operazioni “baciate” (sottoscrizione di azioni in contropartita a finanziamenti offerti dalla banca stessa), tutte pratiche realizzabili solo “grazie” al fatto che le azioni della banca non sono quotate, non hanno un prezzo di mercato e ai correntisti veniva così comunicato il “valore” delle azioni determinato dalla banca stessa. Esattamente come fecero le banche Venete a loro tempo.

LO SCHEMA RICORRE DI BANCA IN BANCA A conferma di ciò, il caso Banca Etruria è emblematico: visto che la banca era quotata, invece di raccogliere sottoscrittori sulle azioni, venivano emesse obbligazioni non quotate e fatte sottoscrivere agli ignari clienti della banca stessa. Lo schema è ricorrente: l’abuso verso i correntisti si è perpetrato sempre e solo attraverso gli strumenti non di mercato. Quando Pop Bari ha usato strumenti di mercato, emettendo prestiti obbligazionari subordinati, si sono trovati sottoscrittori di dubbia identità come veicoli di diritto maltese della cui consistenza patrimoniale nulla si sa.

INACCETTABILE L’INDIGNAZIONE DELLA POLITICA È normale che il comune cittadino “scopra” ora, con l’annuncio del decreto da parte del governo, che la Banca Popolare di Bari entri a far parte dell’elenco delle banche fallite, molto meno normale (anzi inaccettabile) che i protagonisti della politica facciano i consueti proclami e “J’accuse”. Sono tanti e di vario colore i governi che abbiamo avuto dal 2010, nessuno ha mai voluto fare qualcosa sulle banche che sono poi fallite.

LO SCARICABARILE DI CHI GOVERNA Ogni governo spera che il cerino rimanga in mano a qualcun altro (il che offre anche l’opportunità di denunciare, dall’opposizione, lo scandalo), ma questo accade perché il consenso popolare premia questi comportamenti. La Banca Popolare di Bari è stata esentata dall’adeguarsi alle regole imposte per le Popolari, che le obbligava a trasformarsi in SpA. La bancarotta della banca pugliese, come quella delle banche venete, non è il fallimento della logica di mercato, ma il fallimento di chi ha agito al di fuori del perimetro delle regole di mercato. E l’ha fatto perché gli è stato permesso di farlo.

LE SOLUZIONI NON RISOLVONO MAI LE CAUSE Ancora oggi, alla dodicesima banca dell’elenco, la soluzione che viene proposta è un misto di statalismo, interventismo, idee come la creazione di una banca d’investimenti pubblica per il Sud, tutto ignorando deliberatamente che l’efficacia delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno si è dimostrata nulla, se non addirittura negativa, trascurando che il caso di Tercas ci ha già insegnato che una banca commissariata può continuare ad allargare il buco che si è scavata. Invochiamo l’intervento di uno Stato risolutore, come se gli organismi pubblici di vigilanza fossero al di sopra di ogni dubbio.

NON LASCIARE AL MANAGEMENT LA POSSIBILITÀ DI AGIRE FUORI DAL MERCATO Quella che emerge, in questa vicenda, è l’ennesima richiesta di un risolutore che si faccia carico dei problemi e li possa sgarbugliare. Ma ciò che ha permesso il realizzarsi di questo ennesimo caso che coinvolge correntisti, risparmiatori, dipendenti e contribuenti, è la facoltà data al management di agire al di fuori della disciplina di mercato. La confusione che viene alimentata è fra le vicende delle persone coinvolte e le regole di sistema: dietro l’intento nobile di voler proteggere le persone dagli eventi, si nasconde la mancata assunzione di responsabilità, e promettere come soluzione l’intervento pubblico per sterilizzare gli effetti della logica di mercato è, nella migliore delle ipotesi, l’errore del medico clemente che – nella vecchia massima – fa la piaga purulenta.

LE LEZIONI DELLA STORIA E LE RESPONSABILITÀ DEI SINGOLI La Storia ci ha già insegnato che quando un lato del mondo aspettava da Mosca l’indicazione di quanto grano seminare perché tutte le informazioni e le decisioni erano accentrate, un’altra parte del mondo consentiva ad ognuno di provare a fare ciò che riteneva, assumendosene benefici e rischi. Uno dei due sistemi ha dovuto cedere il passo all’altro, riconoscendogli maggiore efficienza, riconoscendogli il ruolo di miglior generatore e distributore di prosperità. Ragionare di quale sistema sia migliore su base aggregata è diverso dal discutere degli alti e bassi del destino di singoli individui, ma un’offerta politica sana e affidabile si occuperebbe di presentare proposte per generare e distribuire prosperità e benessere, cercando – con i dovuti ammortizzatori – di tutelare le persone che vivono delle difficoltà, anziché sfruculiarle per cavare consenso dai loro drammi personali.