Giuseppe Videtti per “il Venerdì - la Repubblica”, 17 dicembre 2019
“HO TOLTO LA NOIA ALL’OPERA” – MICHIELETTO PREPARA LA REGIA DI SALOME PER LA SCALA (“UNA STORIA DI VIOLENZA IN FAMIGLIA, MOLTO ATTUALE”) E RIPERCORRE LA SUA CARRIERA - LE REGIE PER LA FENICE DI VENEZIA ("DURANTE LA RAPPRESENTAZIONE DI THE RAKE' S PROGRESS DI STRAVINSKY, IN UNA SCENA DI SESSO…"), LA 'BUTTERFLY' TRATTATA COME UNA STORIA DI TURISMO SESSUALE ("MA DEVI INCAZZARTI CON PINKERTON") E "I TEMIBILI LOGGIONISTI"... – “SCRIVEVO CANZONI, ERO IN TRIP CON LA CARRIERA DEL CANTAUTORE, OGGI LA DISCO MUSIC MI FA VIBRARE" - VIDEO -
«L' opera nasce in un certo periodo, si sviluppa sotto varie forme, quando arriva nel Novecento sembra vacillare; oggi alcuni la danno per morta, altri in crisi reversibile, altri ancora aspettano un nuovo genio».
Damiano Michieletto, il regista che i sovrintendenti corteggiano con l' ostinazione di irriducibili spasimanti, parla come se non fosse proprio lui uno di quelli che, irriguardoso Folletto - nel senso di aspirapolvere proprio - sta eliminando le muffe dai teatri e soffiando nuove idee su quei palcoscenici dove ancora si muore per patologie curabilissime con penicillina e psicoterapia.
Il percorso da enfant terrible a homo novus è tutto nelle scelte radicali di questi ultimi dieci anni; allestimenti arditi in cui i personaggi della lirica non sembrano poi così fake, consumati da vizi, passioni e disfunzioni che sono il male oscuro del vivere contemporaneo.
Che sia La bohème, Un ballo in maschera, Così fan tutte, Il barbiere di Siviglia o Il viaggio a Reims «è sempre raccontare una storia attraverso la musica», semplifica Michieletto con un entusiasmo rinascimentale, elisir antistress che gli garantisce una prolungata giovinezza («Sono nel mezzo del cammin di nostra vita, ho appena compiuto 44 anni») e gli alimenta una onnivora curiosità musicale («La disco music mi fa vibrare; ho appena visto un concerto dei Cigarettes After Sex»).
Da qui a un anno, tra riprese (a Parigi, Londra, Bologna, Valencia, Roma, Venezia. Mosca, Napoli, Barcellona, Tokyo, Torino) e nuove produzioni, avrà avuto oltre una dozzina di opere in scena. Dopo Alcina a Salisburgo e Der Ferne Klang a Francoforte, i trionfi di quest' anno, affronta un ben più complicato 2020 con cinque nuove «storie»: Salome alla Scala, Il cavaliere della rosa a Bruxelles, I racconti di Hoffmann al Covent Garden, un dittico di due opere contemporanee (Erwartung di Schönberg e Intolleranza di Luigi Nono) sempre alla Scala e Béatrice et Bénédict a Lione.
Tutte fedeli a quella visione che ha destabilizzato l' establishment: «Nessuno può essere certo di avere in mano la verità, l' arroganza di usare questo o quel compositore per esaltare il proprio ego, la pretesa di sbandierare un' idea di cultura e tutelare un patrimonio. Tutto questo non interessa, non mi emoziona. L' opera lirica, che è teatro, deve sempre raccontare la vita. Il mio lavoro è trasformare il passato senza rinnegarlo. Facile smarrire la diritta via, devi tracciarla molto nettamente. L' opera è un mondo unico, paradossale, dove si ama e si muore cantando. Ti permette di affrontare temi politici e sociali di grande attualità e di trasferirli in una dimensione epica, in grado di parlare a tutti».
Lei non scrive canzonette, dunque non ha la tentazione di copiare l' ultimo successo e di ritrovarsi per una selva oscura. «E invece succede anche nella regia teatrale: pensi di aver trovato il tuo linguaggio e ti affidi a una ricetta. Ma non è quello che m' interessa, preferisco sperimentare e giocare».
Quand' è cominciato il gioco? «Nel 2007, quando feci La gazza ladra a Pesaro. Venivo dal teatro, avevo frequentato la Paolo Grassi a Milano, non mi vedevo proiettato nella lirica, neanche l' ascoltavo. Passavo in bici davanti alla Scala tutti i giorni per andare ai corsi, e un giorno vidi all' esterno un grande assembramento di persone, polizia, vigili del fuoco. Pensai a un incidente, invece era solo il 7 dicembre, l' inaugurazione della stagione, io non ne sapevo assolutamente nulla».
E a quel punto che le venne in mente? Di profanare il tempio? «Ma no, ahahahahah. Quello è un rito, come il tifo negli stadi, se lo elimini muore lo sport».
Che ragazzo era prima della Grassi? «Scrivevo canzoni, ero in trip con la carriera del cantautore, avevo anche vinto dei concorsi - ora lo faccio solo per i matrimoni degli amici. Sono un provinciale di Scorzè, provincia di Venezia. Noi di paese siamo più curiosi, più versatili, sappiamo adattarci - ogni cosa ci nutre. Io avevo un mito: Roma.
La prima volta che ci andai, in treno, a quattordici anni, mi sentivo Fellini. Arrivai a Termini con l' idea fissa di andare a Cinecittà. Davanti agli studi rimasi a fissare la scritta per un bel po'. Era il fascino di un altrove, come trovarsi alla fine del mondo».
La lirica non era esattamente la scelta più ovvia. «Alla Paolo Grassi, dove seguivo il corso di regia, un insegnante giapponese, Kuniaki Ida, mi disse: tu devi fare l' opera, è lo strumento ideale per veicolare le tue visioni. Poi venne l' estate, non avevo dimenticato quel suggerimento, presi l' automobile e andai al Festival di Aix-en-Provence a vedere il Don Giovanni diretto da Abbado, regia di Peter Brook - il mio idolo per il rigore, l' essenzialità, la verità, l' umanità, la fisicità del suo teatro. Fu quella la mia prima esperienza da spettatore consapevole, e mi resi immediatamente conto che il linguaggio dell' opera è fighissimo: hai una storia, la musica, i cantanti, le scene, le luci, un' équipe che lavora con te».
Quali sono i passe-partout che le hanno spalancato i teatri? «Dopo La gazza ladra, le regie che ho fatto per la Fenice di Venezia. La prima volta fu un disastro. Nel 2009 ambientai Roméo et Juliette di Gounod in una discoteca. Arrivò una signora, diede un pugno violento sul banco di regia, gridando: "Vergogna!". Un' altra, durante la rappresentazione di The Rake' s Progress di Stravinsky, in una scena di sesso che coinvolgeva tutto il coro, con un tempismo formidabile alla fine della musica, urlò: "Sporchi!". I primi lavori all' estero, invece, Salisburgo e Vienna, sono stati una conferma».
C' è stato un allestimento che l' ha messa in croce? «La Bohème a Salisburgo, nel 2012. Era un' impresa più grande di me, e non me ne ero reso conto. È stata la possibilità di capire i miei limiti, accettarli e lavorarci. Ho avuto anche a che fare con i temibili loggionisti: durante Il ballo in maschera, alla Scala nel 2013, dopo il primo atto, hanno buttato migliaia di bigliettini sulla platea. C' era scritto, tra l' altro: "Giuseppe Verdi perdonali, non sanno quel che fanno", "Povero Verdi", "A morte!". Bisognerebbe farci un' opera sui loggionisti».
Salome alla Scala è una bella sfida. Cosa dobbiamo aspettarci? «Ho eliminato i riferimenti storici e ho messo l' accento sulle dinamiche familiari: la madre che sposa il cognato dopo aver ucciso il marito. Violenza, crudeltà, abuso, con questo patrigno con la bava alla bocca davanti a una ragazzina: vuole che danzi per lui - una richiesta sessuale, evidentemente».
Le nuove regie teatrali pretendono cantanti con capacità attoriali fuori dal comune. In altri tempi sarebbe stata un' impresa impossibile. «Verdi, nelle sue lettere, chiama gli interpreti "I signori attori", mai cantanti. Lo dico sempre agli artisti, fate un mestiere difficile, il vostro lavoro è recitar cantando, un verbo all' infinito e uno al gerundio, quindi dovete fare una cosa facendone un' altra. Cazzi vostri, dovete faticare».
Ci sono ancora direttori famosi che protestano: gli allestimenti troppo audaci distraggono dalla musica, dicono, ormai si va a teatro solo per vedere che ha combinato il regista. «È comprensibile, la messa in scena, anche mediaticamente, toglie loro visibilità. La realtà è: o si fa così o si muore».
Che altro dovrebbe fare l' opera per recuperare il suo potere? «Ritrovare un suo linguaggio autentico, rinnovarsi attraverso nuove opere e nuovi compositori, svincolarsi dall' incubo della critica che considera dei musical le opere che non rispettano i canoni di un secolo fa. Vede, Madama Butterfly è la storia di una ragazzina che viene venduta a un militare americano che ne approfitta, la mette incinta e l' abbandona; poi torna, le porta via il bambino e lei si uccide. Le sembra una storia romantica?
Le sembra che non sia attuale? Deve farti piangere! E allora devi essere crudele? Sì. La mia Butterfly, trattata come una storia di turismo sessuale, è stata considerata irrispettosa. Altro che rispetto! Devi incazzarti con Pinkerton! Diversamente, sì, la musica è potente ma che noia!».