il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2019
Liquidare la Popolare di Bari costerebbe 4,5 miliardi
Una liquidazione della Banca Popolare di Bari sarebbe impraticabile. Non solamente per l’impatto che avrebbe su azionisti, creditori chirografari e depositi sopra i 100mila euro. Il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) dovrebbe in questo caso rimborsare i correntisti protetti con un esborso di 4,5 miliardi. E per farlo, avendo una dotazione di 1,7 miliardi, dovrebbe attivare subito il finanziamento per 2,75 miliardi sottoscritto ad agosto da un pool di banche. Ma una liquidazione sarebbe impraticabile anche perché provocherebbe il blocco di una banca che copre il 10% del mercato creditizio di Puglia, Basilicata e Abruzzo. Per non parlare del destino dei 2.700 dipendenti e del consistente aiuto di Stato a fondo perduto comunque necessario per coprire l’eventuale sbilancio di cessione, come avvenne nel caso delle liquidazioni venete.
Sono queste le conclusioni cui giunge Bankitalia sulla crisi che ha portato al commissariamento della banca barese. Conclusioni pubblicate al termine di una lunga e puntuale ricostruzione dell’attività di Vigilanza che via Nazionale ha pubblicato ieri sul suo sito istituzionale. Un documento che rimette in fila tutte le tappe di una vicenda partita da lontano, quando nel 2010 Bankitalia vietò alla Bari di espandere le proprie attività imponendo un requisito patrimoniale specifico, e che è proseguita fino agli ultimi mesi, con l’aggravarsi di una situazione segnalata al ministero dell’Economia con quattro missive tra febbraio e novembre.
La cronistoria di Bankitalia ricostruisce tappa per tappa tutte le iniziative messe in campo dalla Vigilanza sulla BpB: dalle prime ispezioni con esito «parzialmente sfavorevole» alle successive sanzioni per «carenza di controlli sull’attività di credito» fino alle ripetute richieste di «rafforzamento dei presidi a fronte dei rischi di liquidità e compliance». Un’azione portata avanti con intensi scambi informativi con la Consob (nel documento si parla di una ventina di lettere formali) e con la magistratura.
Dal documento di Bankitalia si comprende che gli scontri di inizio anno tra l’ex presidente della Popolare di Bari, Marco Jacobini, ed altri esponenti della famiglia da un lato e l’amministratore delegato da lui scelto poco tempo prima, Vincenzo De Bustis, e il presidente del Collegio sindacale dall’altro, sono stati solo l’ultimo capitolo della vicenda che porta al commissariamento. Una vicenda che a un certo punto, nel luglio del 2014, aveva visto anche il “via libera” di Bankitalia all’acquisto di Tercas, un intervento di «salvataggio» accompagnato da un contributo del Fitd da 330 milioni che nella primavera del 2015 incontrerà poi lo stop della Commissione europea che solo quest’anno il Tribunale Ue ha annullato (ma l’appello è ancora in corso).
Al commissariamento si è alla fine giunti non solo per le gravi perdite patrimoniali cumulate ma anche per una governance che s’è rivelata incapace «di adottare con sufficiente celerità ed efficacia le misure correttive necessarie per superare la stasi operativa e riequilibrare la situazione reddituale e patrimoniale della BpB».
A proposito di governance non mancano, nella ricostruzione, i riferimenti alla mancata trasformazione della Popolare in Spa, in ossequio a una riforma che ha visto una pronuncia favorevole della Consulta nel marzo del 2018, una richiesta di sospensiva da parte del Consiglio di Stato nell’ottobre dello stesso anno con richiesta alla Corte di Giustizia Ue di pronuncia sulla compatibilità della riforma con le regole di vigilanza Ue e il diritto di recesso dei soci; pronuncia che non è ancora arrivata.