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 2019  dicembre 17 Martedì calendario

Sei anni al viceministro giapponese che uccise il figlio quarantenne perché non usciva mai dalla sua stanza

Esasperato, e prima che potesse fare del male a lui e a sua moglie o, peggio ancora, rendersi protagonista di un accoltellamento di massa, Hideaki Kumazawa, 76 anni, ex viceministro all’Agricoltura del Giappone, ha ucciso quel figlio che 44 anni prima aveva chiamato Eiichiro. Lo scorso primo giugno, è morto per dissanguamento in seguito alle diverse coltellate al collo ricevute dal padre. Sono passati sei mesi e Kumazawa, che nella sua carriera vanta anche una esperienza come anche ambasciatore nella Repubblica Ceca, per quell’omicidio è stato condannato a sei anni di carcere da un tribunale di Tokyo. «Penso che mi spetti di pagare per il crimine e pregare perché mio figlio possa avere pace nell’altro mondo», le parole dell’omicida pronunciate durante l’udienza di pochi giorni fa. Già, perché quel figlio la pace sulla terra proprio non ce l’aveva. Era un «hikikomori», termine molto diffuso in Giappone per indicare l’attitudine a restare a casa, nella propria stanza, a «rintanarsi», «stare in disparte». «Sindrome da autoesclusione sociale» in termini medici. Questa era la vita che Eiichiro aveva vissuto da quando aveva terminato la scuola dell’obbligo. Una «trappola» dalla quale non era riuscito mai a liberarsi. Vittima di episodi di bullismo, si era trasferito a vivere da solo in un quartiere della capitale del Giappone per poi tornare dai suoi una settimana prima di morire. Di «Eiichiro» in Giappone ce ne sono quasi un milione. Di questi, circa 600mila, hanno un’età compresa tra i 40 e i 64 anni, l’età in cui, spiegano gli esperti, si lascia il lavoro per assistere i genitori anziani oppure si perde il lavoro e non si sa più dove sbattere la testa. E allora ci si rintana. Un problema sociale che viene definito 80-50: 80 sta per l’età media dei genitori da assistere, 50 l’età approssimativa dei figli hikikomori. Eiichiro col papà ci aveva litigato per una scemenza: i rifiuti lasciati nella sua vecchia casa. Durante il litigio gli aveva messo le mani addosso. Partendo dal presupposto che Hideaki Kumazawa ha confessato il delitto, alla giustizia non è rimasto altro che quantificare la pena. Per l’accusa che aveva chiesto 8 anni di carcere per l’ex ministro, l’uccisione era stata la conseguenza di «un clima di violenza» instaurato dal figlio, vittima di un grave disturbo mentale, l’hikikmori. I legali dell’ex ministro hanno invece puntato sull’autodifesa dell’ex esponente politico, perché il figlio aveva minacciato di ucciderlo. Da qui la richiesta di sospensione della pena “tramutata” a sei anni di carcere. Quella di Eiichiro sembra una storia dell’altro mondo. Eppure, quel Giappone così tecnologico, che soffre di solitudine e con un altissimo tasso di suicidi, è anche così vicino a noi. Di hikikomori, infatti, è pregna l’Italia. Il caso più recente riguarda un ragazzo di 19 anni che lo scorso luglio a Torino si è lanciato dal quinto piano dopo che la madre, disperata per quel figlio perennemente in rete, gli ha staccato la tastiera. Un caso estremo. Ma si stima che l’isolamento sociale volontario, qui da noi, interessi circa 100mila persone. Per aiutare i genitori e figli ad un approccio costruttivo con questa nuova malattia, Marco Crepaldi, giovane psicologo ed esperto di comunicazione digitale, nel 2013 ha fondato l’associazione «Hikikomori Italia». Tra gli obiettivi quello di sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni su questo disagio che si insinua nella nostra società e la creazione di una rete nazionale che metta in contatto le persone interessate al fenomeno.