Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 17 Martedì calendario

Intervista a Carmen Consoli che scrive ancora le canzoni a penna

Prima il 31 dicembre sarà protagonista del Capodanno di Roma al Circo Massimo. Poi, il prossimo 25 agosto, con orchestra sinfonica, band e tanti ospiti, per festeggiare un quarto di secolo di musica, Carmen Consoli salirà per la prima volta sul palco dell’Arena di Verona. «In realtà ci ho cantato una volta, ma solo come ospite di Elisa», racconta con la sua bella voce orgogliosamente venata di suoni siciliani, «per il resto ci andavo da spettatrice. Mia mamma è di Treviso e mio nonno Ferruccio Toffolo aveva la buona abitudine di portarci a vedere le opere. Rimanevo incantata, stavo a bocca aperta e piangevo, percepivo la forza della musica. Ma vedo che succede anche a mio figlio, sente gli archi, la sinfonia, e si emoziona. Sono risposte antiche che abbiamo in qualche angolo del cervello, e per fortuna sono ancora lì.
A proposito dell’Arena, esiste ancora il Festivalbar?».
No, purtroppo no, ma non è detto che non venga riesumato… E suo figlio, si emoziona anche con la musica della mamma?
«Mio figlio non ammetterà mai che gradisce la mia musica, magari mi scarica sul telefonino le canzoni di Max Gazzè o di Tiziano Ferro, poi siccome l’ha visto a Sanremo duettare con me, mi chiede se Tiziano è fidanzato, per escludere che sia fidanzato con me. Lui ha sei anni e adora il rock duro, gli piacciono i Rammstein e Marilyn Manson, ora ha iniziato col rap e mi sta facendo la compilation di Natale, qualche volta mi fa conoscere cose che non conoscevo, e questo mi fa molto piacere».
Ma ha solo sei anni…
«Sì, ma è molto intraprendente, disegna scheletri, mostri, cose orribili. A volte mi dicono che forse Carlo è un po’ cupo, con tutti quei disegni… Ma in realtà non lo è affatto, è solare, ride sempre, solo che di gusti è dark, adora i mostri e ha voluto che facessimo l’albero di Natale con zombi e scheletri. Sarà difficile farlo passare alla zia Concettina, ma noi ci divertiamo molto».
C’è un nuovo album in arrivo?
«È pronto da tempo, ma come sempre sono piena di dubbi. Poi quando sono sicura chiamo i miei musicisti e suoniamo i pezzi nuovi per un mesetto, a quel punto facciamo le basi, in presa diretta, nel mio studio a Puntalazzo, sull’Etna».
Non è spiazzata dal brusco cambio generazionale che sta rinnovando la musica italiana?
«Io continuo ad avere la mia visione di donna di 45 anni che matura insieme alla propria musica. Se rimane contemporanea anche per i giovani ben venga. Rimango incollata a dei paletti irremovibili, non userò mai la chitarra direttamente sul mixer, ho bisogno delle valvole dell’amplificatore, a questo ci tengo, però amo la contaminazione e ho bisogno di qualcuno che sappia usare le nuove tecnologie, altrimenti io da sola scrivo a penna, mi piace l’inchiostro, scrivo le partiture in bella scrittura, mi piace usare la matita blu e quella rossa. Anche i testi li scrivo a mano, c’è una certa poesia, si perde più tempo ma dà soddisfazione, non si può sempre correre, e allora le mie canzoni le scrivo a penna perché tra quello che penso e la scrittura c’è un passaggio di tempo, magari c’è un segnale d’allarme, c’è una parola che bussa e vuole per forza arrivare, dipende.
L’ultimo bacio invece l’ho scritta di getto, già perfetta, con tutte le macchie d’inchiostro sulle dita. E questo vale anche per gli ospiti».
Ospiti? In che senso?
«Insieme a mia mamma gestisco delle case-vacanza, io curo il check-in e il check-out con tanto di letterina di benvenuto scritta di persona con stilografiche e ceralacca e gli ospiti apprezzano molto».
Non soffre della perdita di valore e ambizioni da cui è afflitta la musica?
«Sì e possiamo estendere il concetto alla cultura in generale. Tendiamo a ridurre tutto a tweet, sintesi veloci, frasi brevi, anche le canzoni diventano più corte. Io faccio musica perché mi rende felice, non me ne frega niente di essere o meno sulla cresta dell’onda. Certi obiettivi li ho già raggiunti. Chi me lo doveva dire che da San Giovanni La Punta sarei arrivata a fare concerti in tutto il mondo? Io sognavo con la musica, vedevo il futuro, il sogno non è un crimine, e la musica rispondeva alla necessità di cambiare il mondo. Oggi è tutto sottotono, ma penso che sia una parabola discendente. Passerà, deve passare. Dobbiamo prenderci il tempo giusto, quando siamo in famiglia e mio figlio chiede delle cose ci fermiamo a spiegargliele, col tempo che ci vuole. Da questo punto di vista la mia passione è inalterata».
E ce l’avrebbe una medicina?
«Il principio della rivoluzione francese e dell’Illuminismo, bisogna volere un popolo colto. Le istituzioni devono motivare gli intellettuali a divulgare la cultura tra tutti. Un esercito di maestri scaccia la mafia, si dice da queste parti. Sono stata a cantare a Cuba, mi ha impressionato il livello di cultura diffusa, lo sentivo nell’abbraccio della gente. Anzi, a proposito dell’esercito di maestri che ci salverà da mafia e superficialità, vorrei concludere con una citazione del mio amico Manuel Agnelli: “Se c’è una cosa che è immorale è la banalità"». Mentre da lontano si sente il cupo brontolio del vulcano.