la Repubblica, 17 dicembre 2019
«Sono stato il pioniere del cinema al femminile. Ho realizzato più film diretti da donne di qualunque altro produttore. Quel che ho fatto non va dimenticato». La difesa di Weinstein
La versione di Harvey. Weinstein, s’intende: «Sono stato il pioniere del cinema al femminile. Ho realizzato più film diretti da donne di qualunque altro produttore. Quel che ho fatto non va dimenticato» dice al New York Post. Con buona pace delle 80 fra attrici, registe ed ex assistenti che lo hanno accusato di stupro, molestie: e aver boicottato le carriere di chi non ci stava. Quelle denunce, un anno fa, hanno portato alla nascita del movimento #MeToo. Provocando la caduta del “re di Hollywood” e di tanti uomini arroganti e potenti: dal celebrity chef Mario Batali al medico della nazionale di ginnastica americana Larry Nassar. Da un letto del New York-Presbyterian Medical Center, l’ospedale dove ha subito un intervento alla schiena, l’ex produttore un tempo definito da Meryl Streep “Dio del cinema”, 67 anni, si dipinge come paladino del talento femminile: «Ho promosso le prime donne registe. Ho pagato alle attrici cachet inimmaginabili. L’ho fatto 30 anni fa, quando non era di moda». Se ha accettato di rompere per la prima volta il silenzio, non è però per parlare dei suoi guai. Vuol semmai dimostrare che non sta bene: smentendo le voci secondo cui, dopo essere stato visto in locali notturni e negozi alla moda, la settimana scorsa si è presentato al tribunale di New York con un deambulatore per impietosire il giudice. Che gli ha aumentato la cauzione da 1 a 5 milioni di dollari per aver usato impropriamente il braccialetto elettronico ai domiciliari.
Delle accuse contro di lui, Weinstein non parla. Anzi, minaccia la giornalista Rebecca Rosenberg di essere pronto a interrompere l’intervista a ogni domanda sgradita. Il processo contro di lui inizia il 6 gennaio. Finora non è riuscito a sospenderlo, nonostante l’accordo preliminare da 25 milioni di dollari con almeno trenta vittime, simile a quello ricordato ieri a Milano nell’ambito del processo Ruby ter da Ambra Battilana, la modella italiana che per tacere ebbe un milione di dollari da Weinstein, gli permetterebbe di chiudere molte cause contro di lui e la sua ex casa di produzione, andata in bancarotta a causa dello scandalo. Ma gli serve l’approvazione del tribunale: passeranno mesi, e alcune sue accusatrici hanno già fatto sapere di non voler accettare.
Nemmeno Gwyneth Paltrow ha accettato. «Nel 2003 le diedi 10 milioni di dollari per fare Una hostess fra le nuvole. Era l’attrice più pagata del cinema indipendente. La prima a guadagnare molto più degli uomini», l’attacca Weinstein. Ma se lui ha dimenticato a che prezzo, l’attrice premio Oscar nel 1999 per Shakespeare in Love (prodotto da lui) non lo ha certo scordato. Fra le prime a raccontare alle reporter del New York Times Jodi Kantor e Megan Twohey (Pulitzer con Ronan Farrow per le loro inchieste sulla vicenda) l’aggressione subita dal produttore nel 1994 che costrinse il suo fidanzato di allora, Brad Pitt, a intervenire.
«Sta cercando di avvelenare di nuovo la società», reagiscono le sue vittime con una lettera firmata da 23 attrici, comprese Ashley Judd, Rose McGowan e Rosanna Arquette, sul sito di Time’s Up, il fondo creato per sostenere coloro che denunciano. «Certo che sarà ricordato: come predatore senza rimorsi». Contro la versione di Harvey la voce delle donne torna ad alzarsi.