Corriere della Sera, 17 dicembre 2019
Di Maio parte per la Libia per incontra al-Serraj e Haftar. Una doppia missione molto difficile
Appare tutta in salita la visita di Luigi di Maio oggi in Libia. Due tappe complicate: in mattinata a Tripoli e nel pomeriggio a Bengasi. Lo scontro tra le due parti è talmente duro che il volo ministeriale dovrà uscire dallo spazio aereo della Tripolitania per poi rientrare in quello della Cirenaica da dove ripartirà in serata per Roma. Come fossero due Paesi diversi: un volo che anche negli aspetti logistici segna il muro di ostilità e sospetti trionfanti.
L’Italia vorrebbe in questo caso funzionare da apripista europeo, ma soprattutto cerca di evitare l’irrilevanza in cui rischia di cadere ormai da mesi. La Libia è sempre più in guerra, con le forze militari di Khalifa Haftar, noto come l’uomo forte della Cirenaica, che grazie in particolare all’arrivo di contractor russi a settembre – il numero varia a seconda delle fonti da 200 a un paio di migliaia – sta stringendo l’assedio su Tripoli e guadagnando terreno. Sull’altro fronte, la pletora di milizie che sostiene il governo di Accordo nazionale guidato da Fayez Sarraj a Tripoli conta ormai sulle armi turche. «Una pericolosissima guerra per procura che marginalizza gli europei, mentre avvantaggia altri attori come Egitto, Emirati, Russia e Turchia. Persino il tradizionale braccio di ferro tra Italia e Francia adesso è stato superato dai fatti sul terreno», continua a ripetere apertamente persino il tradizionalmente molto riservato inviato speciale dell’Onu per gli affari libici Ghassan Salamé.
Almeno tre dunque gli obbiettivi della missione Di Maio così come vengono spiegati dagli ambienti diplomatici italiani e dagli osservatori libici a Tripoli e Bengasi. In primo luogo «ridare alla crisi libica una dimensione mediterranea riproponendo con forza il peso degli argomenti europei». Il ministro degli Esteri italiano viaggia legittimato anche dal recente vertice tra Giuseppe Conte, Emmanuel Macron e Angela Merkel, durante il quale si è ribadito l’impegno di una politica comune europea. Da qui il rilancio della conferenza di Berlino sotto l’egida dell’Onu, prevista per la terza decade di gennaio, volta a far dialogare tutti i Paesi coinvolti nello scenario libico e specialmente bloccare gli invii di aiuti militari ai due fronti. Questa dovrebbe essere seguita subito dopo da quella di Ginevra tra i soli attori libici. «A questo fine sono importanti i colloqui bilaterali tra gli europei e specialmente i governi di Mosca e Ankara. È rilevante che Sarraj abbia appena rifiutato i 5.000 soldati turchi offerti dal presidente Erdogan. Come del resto sarà fondamentale lavorare bene prima del summit Putin-Erdogan previsto per il prossimo 8 gennaio», dicono ancora i diplomatici italiani. Si tratta insomma di fare sentire il peso economico e politico del fronte europeo per riproporre il consueto principio per cui «non c’è soluzione militare alla crisi libica».
Due Paesi diversi
L’aereo della Farnesina uscirà dallo spazio della Tripolitania per rientrare in Cirenaica
Ma se già i primi due aspetti della missione appaiono complessi, è il terzo a rivelarsi particolarmente ostico: come dialogare con Haftar? Fu lui infatti il 4 aprile scorso a boicottare la via negoziale lanciando improvvisamente l’offensiva armata. Oggi, dopo lunghi mesi di stallo, sta di nuovo avanzando. Perché mai dovrebbe fermarsi? A Tripoli si parla di gruppi di suoi fedelissimi pronti a insorgere. Nelle ultime ore persino il presidente egiziano al-Sisi minaccia un intervento diretto dei suoi soldati a fianco di quelli di Haftar e pare che a Bengasi siano giunti alcuni elicotteri russi MI35, che con i loro 35 missili ad alta precisione possono rivelarsi particolarmente efficaci nelle battaglie urbane.
Per contro la Turchia starebbe inviando nuovi droni e blindati a Tripoli. La situazione è talmente tesa che le milizie di Misurata hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Non mancano le false notizie a gettare benzina sul fuoco, come per esempio quella diffusa ieri mattina da Bengasi, per cui il ministro degli Interni Fathi Bishaga (uomo chiave del governo di Tripoli) sarebbe rimasto gravemente ferito in un attentato a Misurata. La cosa è stata subito smentita, ma ciò spiega il nervosismo in questa che è una città chiave nella lotta contro Haftar e dove sono anche situati i circa 400 soldati italiani impegnati nella gestione dell’ospedale militare mandato da Roma nel settembre 2016.