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 2019  dicembre 17 Martedì calendario

Cronaca del vertice di maggioranza di ieri. Il problema di Conte si chiama Matteo Renzi

Adesso il problema di Palazzo Chigi ha un nome e un cognome: Matteo Renzi. L’ex premier che concede il voto di fiducia sulla legge di Bilancio, ironizza su un governo che «deve decidere cosa fare da grande», sprona il presidente del Consiglio a cambiare passo e intanto strizza l’occhio a Matteo Salvini, è un fattore di forte instabilità per la maggioranza. Prova ne siano la lite con Luigi Di Maio sul decreto che ha messo in sicurezza la Popolare di Bari e ieri, nel chiuso del vertice notturno finito a mezzanotte e mezza, il veto dei renziani sul testo dell’Autonomia differenziata. Nessuno sa cosa il fondatore di Italia Viva abbia in mente e tutti, a Palazzo Chigi e dintorni, si chiedono quale sarà la prossima mina, per poterla disinnescare prima che esploda.
«Faremo il punto sulla giustizia, sull’autonomia, su quei punti già presenti nell’agenda attuale di governo», aveva anticipato venerdì sera Giuseppe Conte annunciando il vertice: in sostanza, un tavolo per programmare la verifica di governo chiesta dai partiti. Ma ieri, nel giorno in cui incassa la fiducia sulla legge di Bilancio, il premier decide di alleggerire il vertice di maggioranza, programmato per fare un giro di orizzonte su tutti i dossier aperti. Irritato e di cattivo umore per via del feeling tra i due Matteo, Renzi e Salvini, il capo del governo affida ai suoi il mandato di derubricarlo a «semplice riunione sull’autonomia differenziata». Semplice per modo di dire, visto che alle dieci della sera la delegazione che si presenta a Palazzo Chigi è quella delle grandi occasioni: Di Maio e Patuanelli, Boschi e Rosato, Franceschini e Boccia e poi Speranza, segretario di Leu.
Dopo ore di ordini e contrordini, annunci e smentite, il vertice finalmente inizia e subito le posizioni si irrigidiscono perché Boschi e Rosato vogliono ridiscutere tutti i dossier, sfidando l’ira di Conte. «Non entrano nemmeno nel merito delle questioni, non hanno il mandato a chiudere su niente – si lamentano tra loro dem e 5 Stelle – Renzi chiede il cambio di passo e poi lo impedisce... Punta al bersaglio grosso, la giustizia».
Arrivano le pizze e le birre, il ministro dem Francesco Boccia illustra il suo testo, frutto di tre mesi di paziente mediazione su e giù per l’Italia: «L’accordo unitario di tutte le regioni, da Nord a Sud, fa ben sperare.Ma o siamo tutti uniti, o non si va avanti». Ancora guai, ancora tensioni. Boccia avrebbe voluto inserire il provvedimento in manovra, ma Italia viva ha chiesto tempo, i gruppi parlamentari di Leu si sono messi di traverso e anche i 5 Stelle hanno azionato il freno.
Per non mettere a rischio la fragilissima tregua, raggiunta dopo gli scontri sulla manovra e sul decreto che salva la Banca popolare di Bari, Conte vuole prendere tempo, rinviando a gennaio l’impostazione dell’Agenda 2023. Un passaggio cruciale, al quale il premier lega il futuro della maggioranza. «Se la verifica fallisce si va tutti a casa», è l’avvertimento che il giurista pugliese è pronto a scandire quando sarà il momento. Ma non è ancora il tempo e per tenere insieme forze così diverse e litigiose serve prudenza. «Sono qui per dare una prospettiva migliore al Paese, non per staccare la spina», rassicurava al mattino Conte.
Eppure il tema delle urne tiene banco. I parlamentari sono in allarme e nel governo si parla molto della presunta tentazione di Renzi di andare al voto anticipato con il Rosatellum, la cui soglia di sbarramento è un abbordabile 3%. «Matteo è fuori di testa perché crolla nei sondaggi», dice il tam tam del fronte filo-governativo. Quello di Ipsos, che farà piacere al premier, vede Pd e M5S in recupero, mentre Italia viva perde 1,3 punti e si ferma al 4,2. Renzi (14%) è all’ultimo posto nel gradimento dei leader, sia pure con un passo in avanti del 3%. Tre punti in più anche per Conte, che risale al 49 e si attesta 13 punti sopra Salvini. Il segretario della Lega ha lanciato l’amo del confronto bipartisan e il solo leader di governo che mostra un qualche interesse ad abboccare è Renzi, tanto da aver invitato ad approfondire la «simpatica tarantella» dell’altro Matteo sul governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi.