Corriere della Sera, 17 dicembre 2019
Nei 958 commi della manovra c’è solo tanta confusione
Ci risiamo. Il testo del maxiemendamento alla legge di Bilancio per il 2020, su cui il governo ha posto la fiducia, consta di 958 commi per 313 pagine. C’è di tutto: alberghi, farmacie, medici, poligrafici, concessioni, spese veterinarie, carburanti, elettrodotti, certificati energetici, piste ciclabili, vigili del fuoco, tariffe Inail, rete ferroviarie, investimenti statali e locali, la sicurezza nella città di Matera, lavori nella Villa Alari Visconti di Saliceto a Cernusco sul Naviglio, e così via. Molte norme sono scritte per sottrarre attività pubbliche ad altre norme, creando percorsi straordinari. Tutte le norme sono scritte con la tecnica del rinvio a decine di altre leggi, ciò che rende ancora più oscuro il loro dettato.
Perché questa corsa di fine anno, nella quale tutti cercano di inserire qualcosa nella legge di Bilancio, che diventa così una disposizione «omnibus», mentre dovrebbe soltanto indicare entrate e spese, gli stanziamenti, ordinati per missioni e programmi, che autorizzano le amministrazioni a prelevare e a spendere? La ragione è semplice. Vengono sfruttati i tempi stretti (va approvata entro la fine dell’anno, per non andare all’esercizio provvisorio), la «permeabilità» del Parlamento, persino il clima pre-festivo.
Questo induce le amministrazioni a vuotare i cassetti e le forze parlamentari a dare mance, risolvere micro-problemi, accontentare clientele. Passa il convoglio, tutti cercano di agganciare il proprio vagoncino.
La legge di Bilancio gonfiata è sintomo di un duplice malfunzionamento del Parlamento. Da un lato, è segno del fatto che troppe decisioni vengono riversate in legge (per motivi vari, tra cui la circostanza che l’amministrazione è bloccata da troppi controlli impeditivi). Dall’altro, dell’assenza di un flusso fisiologico Paese–pubblica amministrazione–governo–Parlamento, perché alcune di quelle norme che vengono infilate nella legge di Bilancio potrebbero essere ordinatamente approvate in leggi divise per materia (ad esempio: ambiente, urbanistica, lavori pubblici, scuola). Da questo affastellamento di misure, relative a tutti i settori, nella legge di Bilancio deriva anche che esse non vengono valutate per i benefici che possono assicurare, ma per la spesa che comportano. In questo modo, il Paese è governato dagli strumenti (le risorse finanziarie necessarie), non dagli obiettivi, e le commissioni parlamentari competenti per materia (ambiente, infrastrutture, scuola, e così via) o non si pronunciano, o lo fanno molto frettolosamente. La terza anomalia di questo uso della legge di Bilancio sta nel fatto che la fretta di fine anno costringe ad approvarla in un ramo del Parlamento per poi farla arrivare «blindata» nell’altro ramo, nel senso che questo non può più modificarla. Questo trasforma il nostro Parlamento bicamerale in un Parlamento monocamerale ad anni alterni (si segue l’uso di presentare il testo un anno ad una Camera, quello successivo all’altra).
Quando il convoglio è passato, quelli che non sono riusciti a salirci non restano a piedi. C’è una seconda possibilità, quella chiamata «il milleproroghe», una seconda legge «omnibus», ormai appartenente alla tradizione. Quest’anno affiancata dal cosiddetto decreto fiscale.
Conclusione: un Paese che ha bisogno di una disposizione di legge per la realizzazione del Museo della Diga del Gleno e per la messa in sicurezza del Rio Molinassi e del Rio Cantarena (nella legge di Bilancio c’è anche questo) ha qualcosa di malato che va curato.