La Stampa, 16 dicembre 2019
Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione degli Uiguri e la Cina ha oscurato la diretta della partita della sua squadra
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
FRANCESCO OLIVO
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
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FRANCESCO OLIVO
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
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FRANCESCO OLIVO
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
FRANCESCO OLIVO
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
FRANCESCO OLIVO
Un colpo al basket e uno al calcio. Il messaggio è brutale, ma chiaro: chi critica la Cina scompare dagli schermi. Lo sanno quelli del basket Nba e ora lo scoprono ora i facoltosi proprietari della Premier League, il campionato più ricco al mondo, che da ieri ha dovuto affrontare una censura inedita. Il calciatore dell’Arsenal Mezut Özil ha criticato duramente la repressione che la Repubblica popolare porta avanti contro la minoranza musulmana degli Uiguri e la tv di Stato ha cancellato la diretta della partita della sua squadra, l’Arsenal, ieri impegnata contro il Manchester City. Il cambio di palinsesto, è stata trasmessa Wolverhampton-Tottenham, è un salto di qualità nella censura di Stato. Una misura pensata per essere esemplare e a Londra si tema che la vicenda non finisca qui.
Basta vedere i precedenti: i padroni del basket Usa, ancora contano i danni economici seguiti al tweet dell’amministratore degli Houston Rockets Daryl Morey in solidarietà con le proteste di Hong Kong: contratti già firmati messi in discussione, match cancellati da un giorno all’altro ed eventi promozionali, come le tournée delle squadre americane in Cina, annullate.
Non è una novità che al centro del caso internazionale ci sia Özil uno che non disdegna dire la propria. Il calciatore ha passaporto tedesco e origini turche, orgogliosamente rivendicate, tanto che come testimone di nozze, lo scorso giugno, scelse nientemeno che il presidente Recep Tayyip Erdogan. Da quel giorno, dice lui, «sono stato ricoperto di insulti in tutti gli stadi, mi gridano di tornarmene a casa mia». Per protesta, l’attaccante ha lasciato la Nazionale tedesca.
Le scuse non bastano
Il post che ha scatenato la bufera, pubblicato su Instagram tre giorni fa, è molto netto: gli Uiguri sono «guerrieri che resistono alla persecuzione (...) Bruciano i loro Corani, chiudono le loro moschee, mettono al bando le loro scuole, uccidono i loro imam, gli uomini vengono rinchiusi nei campi e le donne sono costrette a vivere e sposarsi con uomini cinesi». La denuncia coinvolgeva anche i Paesi musulmani: «Tacciono per viltà». Parole che avevano suscitato subito stupore e indignazione in Oriente. L’Arsenal, club londinese di proprietà americana, ha molti interessi in Asia e capisce che queste parole possano scatenare ritorsioni. Così, viene emesso rapidamente un comunicato: «Il contenuto pubblicato è l’opinione personale di Özil. Come squadra di calcio, l’Arsenal ha sempre aderito al principio di non impegnarsi in politica». Ma per i cinesi non basta. La federcalcio di Pechino reagisce: «I commenti di Ozil sono indubbiamente dannosi per i tifosi che lo seguono da vicino, e allo stesso tempo feriscono anche i sentimenti dei cinesi. Non lo possiamo accettare». Per «proteggere» questi tifosi hanno pensato di non fargli vedere la partita. Censura e paternalismo: il calcio è oscurato. A rimetterci di più forse sono i tanti fan orientali dell’avversario dell’Arsenal, il Manchester City di Guardiola. In Cina nessuno lo ha visto, ma ha vinto 3-0 in trasferta. —
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