La Stampa, 16 dicembre 2019
La Scozia ci riprova con l’indipendenza
La Scozia «non può restare imprigionata nel Regno Unito contro la sua volontà». La premier della nazione, Nicola Sturgeon, forte dello straordinario risultato elettorale ieri è tornata alla carica pretendendo un nuovo referendum sull’indipendenza. Boris Johnson non è stato l’unico vincitore delle elezioni britanniche. In Scozia sono stati i nazionalisti del Snp ad aver trionfato con 1,2 milioni di voti, il 45% dei consensi, che gli hanno permesso di conquistare ben 47 dei 59 seggi destinati alla nazione, una crescita di 13 deputati rispetto alle scorse elezioni del 2017 che li ha portati a diventare la terza forza a Westminster. Al contrario i Tory in Scozia hanno perso più della metà dei deputati, passando da 13 a sei.
Intervistata dalla Bbc Sturgeon ha affermato che con il voto di giovedì scorso gli scozzesi hanno «respinto i Tory, detto no alla Brexit e chiarito che vogliamo il nostro futuro nelle nostre mani». Ma secondo lo Scottish Act l’unico ad avere il potere di dare il via libera alla consultazione è il premier Johnson e il governo non ha «assolutamente» nessuna intenzione di farlo nei prossimi 5 anni. A chiudere ancora una volta la porta è stato uno dei membri più influenti dell’esecutivo britannico, Michael Gove, secondo cui «bisogna rispettare il risultato del referendum del 2014», che «ci dissero avrebbe risolto la questione per una generazione». Ma tra il referendum di 5 anni fa, in cui la permanenza nel Regno Unito vinse con oltre il 55% dei voti, e oggi c’è stato un altro referendum che ha cambiato le carte in tavola: quello sulla Brexit, in cui in Scozia il «Remain» ha stravinto con il 62%. «Ho detto a Johnson che se pensa che dire di no ponga fine alla questione si sbaglia di grosso», ha insistito Sturgeon che la prossima settimana invierà una richiesta formale per poter indire un «IndyRef2» e che ha escluso però l’ipotesi di un referendum illegale come quello tenuto in Catalogna.
E ieri è stato anche il giorno del mea culpa del grande sconfitto della tornata elettorale. «Mi dispiace che non siamo stati all’altezza e me ne assumo la responsabilità», ha dichiarato Jeremy Corbyn in una lettera aperta pubblicata dal Sunday Mirror, l’unico tabloid da sempre schierato con il Labour. Corbyn, rieletto per la decima volta nella circoscrizione londinese di Islington nord, si è detto comunque «fiero» del Manifesto del partito rivendicando che «sull’austerità, le diseguaglianze, l’emergenza climatica, abbiamo vinto e guidato il dibattito». A breve inizierà la corsa per la sua successione e nonostante tra i nomi in circolazione al momento il più pesante sembra quello del Segretario di Stato ombra alla Brexit, Keir Starmer, la competizione sarà dominata dalle donne. Sono infatti diverse le laburiste pronte a scendere in campo per provare a diventare la prima donna a guidare il partito nella sua storia, tra cui la Segretaria di Stato ombra Emily Thornberry. Quello di aver eletto più donne è l’unico primato che il Labour può rivendicare: dei 202 parlamentari gli uomini sono solo 98.