La Stampa, 16 dicembre 2019
Lo Stato non ha bisogno di banche
Tanto tuonò che piovve, verrebbe da dire. Sì perché ormai da tempo la Banca Popolare di Bari era fonte di molte preoccupazioni. Quindi nessuna sorpresa.
Ma il fatto che il tracollo fosse annunciato non vuol dire che non debba sollevare domande sulle sue cause e conseguenze. Rispondere a quattro domande è particolarmente importante.
Primo, perché la Popolare di Bari è andata in crisi? Esistono prima di tutto cause generali. L’Italia non si è ancora ripresa dalle crisi economiche del 2008-09 e del 2011-12. Il Prodotto interno lordo (Pil) è del 2-3 per cento sotto il livello del 2007 e il Sud, che ha perso terreno rispetto al resto d’Italia, sta ancora peggio. Inoltre il settore bancario, in Italia e all’estero, sta fronteggiando cambiamenti radicali nel modo di fare impresa dovuti alle nuove tecnologie: i bilanci bancari sono appesantiti da sportelli e personale in eccesso rispetto al necessario. In questo contesto è inevitabile che qualche banca entri in crisi. Detto questo, è chiaro che poi ad andare in crisi sono le banche mal gestite. E sembra proprio che la Popolare di Bari sia stata mal gestita con prestiti dati a chi non era poi in grado di ripagarli. Non conosco abbastanza i conti della banca, ma è probabile che, come in tutti gli altri casi di crisi bancarie degli ultimi anni, le perdite non siano dovute a pochi prestiti di importo elevatissimo, ma a un numero elevatissimo di prestiti di ogni dimensione. Questo è importante perché ci si tolga dalla testa l’idea che sia possibile recuperare facilmente le perdite, che ci siano soldi nascosti da qualche parte che potrebbero essere recuperati se solo ci fosse la volontà politica. I soldi sono finiti in una molteplicità di rigagnoli (spese di imprese decotte per pagare dipendenti e fornitori, immobili che hanno perso valore, forse anche spese di consumo). Insomma, al contrario di quello che alcuni politici sembrano suggerire, non c’è modo di recuperare le perdite, se non in piccola parte.
Seconda domanda: chi ci metterà ora i soldi per coprire quelle perdite? Nello schema governativo ci sarà un intervento misto di risorse private (quelle delle banche attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, o Fitp) e pubbliche (attraverso il Mediocredito Centrale, una società per azioni di proprietà di Invitalia a sua volta di proprietà del Ministero dell’Economia). Sarà compatibile questo schema con la normativa europea contro gli aiuti di stato? Il tribunale di primo grado dell’Unione Europea ha qualche mese fa dato ragione allo stato italiano concludendo, al contrario di quanto era stato sostenuto dalla Commissione Europea, che un intervento del Fitp non è aiuto di stato. Ma in questo caso non c’è dubbio che ci siano anche risorse immesse, indirettamente, dallo stato. È un problema? Si cita il caso della recente ricapitalizzazione della banca tedesca NordLB con soldi pubblici, ma c’è una differenza: quella era una banca pubblica e, come avvenuto peraltro anche per banche di altri paesi, è ammessa l’immissione di capitale pubblico in una banca pubblica con un serio piano di ristrutturazione. Per il Monte dei Paschi sono state usate risorse pubbliche senza che questo creasse problemi con la Commissione. Ma si trattava di un caso di ricapitalizzazione preventiva. Insomma, la situazione resta incerta e il governo italiano dovrà presentare il proprio caso in modo efficacie a Bruxelles per non avere problemi.
Terza domanda: a cosa servirà il miliardo immesso nella Popolare di Bari? Non è chiaro quanto di questo miliardo servirà ad aumentare il capitale della banca per portarlo ai minimi richiesti dalla regolamentazione e quanto andrà invece a rimborsare le perdite dei privati che hanno messo soldi nella banca, ossia i 69.000 soci della banca, gli obbligazionisti e i depositanti (sopra i 100.000 euro perché sotto si è completamente coperti dalla assicurazione sui depositi). Quando Conte dice che “non tuteleremo nessun banchiere” a chi si riferisce? Già perché i “banchieri” di solito sono i proprietari della banca che, in questo caso, sono i 69.000 soci. E se non sono questi i banchieri, chi sono? Gli amministratori della banca? Ma è ovvio che questi non vadano salvati! Anzi, gli amministratori, se disonesti, devono essere adeguatamente puniti, dopo un giusto processo penale (ci sono 7 cause in corso). Insomma, non è ancora chiaro chi verrà protetto con i soldi pubblici. Dovrebbe essere pratica comune che chi ha investito in una impresa del capitale di rischio (in questo caso i soci) lo perda se le cose vanno male, salvo casi di provata truffa. Ma non è sempre stata questa la logica seguita in passato: il governo gialloverde aveva stanziato un miliardo e mezzo per la tutela anche di azionisti delle banche andate in crisi nella legislatura passata, cioè di piccoli banchieri.
Ultima domanda: serve nazionalizzare come sostiene Di Maio? È una domanda che non ha molto senso nell’immediato. Se i soldi immessi nella Popolare di Bari andranno a costituire, come sembra inevitabile, parte del capitale della banca è ovvio che lo stato, indirettamente, diventerà in parte proprietario della banca. La questione, semmai, è se lo stato debba rimanere permanentemente nel capitale della banca come, per ora, è rimasto nel capitale del Monte dei Paschi. Io non vedo quale vantaggio rispetto al settore privato abbia lo stato nel gestire una banca. Ed è paradossale che quelli che ora dicono che le perdite della Popolare di Bari erano dovute a intrallazzi tra banca e politica, vengono poi a proporre la sua nazionalizzazione. Misteri della politica!