la Repubblica, 16 dicembre 2019
Popolare di Bari, 900 milioni dallo Stato e 500 da privati
Il nome “Banca popolare di Bari”, nel decreto che la salva, non c’è. Ed è già un segno della delicatezza del dossier, ad alto tasso di impopolarità. In compenso i soldi dell’intervento pubblico sono un po’ più di quelli che le indiscrezioni ventilavano: «fino a massimi 900 milioni per il 2020», per un intervento che potrebbe salire attorno a 1,4 miliardi se il Fondo tutela depositi (Fitd) investirà quanto si vocifera. Anche il nome del Fitd non ricorre, per l’esigenza di dare un taglio di mercato al blitz, evitando i veti dell’Ue sugli aiuti di Stato.
Le risorse, tramite la controllata del Tesoro Invitalia, sono per il Mediocredito centrale (Mcc), già attiva nel settore ma con 250 milioni di capitale che non bastano all’impresa, «affinché promuova, secondo logiche di mercato, lo sviluppo di attività finanziarie e di investimento, anche a sostegno delle imprese nel Mezzogiorno, da realizzarsi anche attraverso il ricorso all’acquisizione di partecipazioni al capitale di società bancarie e finanziarie, e nella prospettiva di ulteriori possibili operazioni di razionalizzazione di tali partecipazioni». Somiglia un po’ alla banca di investimento per il Sud, che campeggiava nel contratto di governo 2018 tra M5s e Lega. Ma tant’è, il deficit patrimoniale, stimato da settimane in un miliardo dall’ad uscente della banca barese commissariata venerdì scorso Vincenzo De Bustis, lascia poche scelte.
Il primo dei tre articoli della bozza di decreto prevede la creazione di una “Banca di Investimento”, generata dalla scissione delle acquisizioni fatte da Mcc: il Tesoro ne rileverebbe attivi e partecipazioni, con l’intero capitale sociale, senza pagare corrispettivi e in regime di esenzione fiscale. Le risorse finanziarie verranno invece da un fondo del Tesoro destinato «alla partecipazione al capitale di banche e fondi internazionali».
A questo punto la palla passa nel campo del consorzio di banche operanti in Italia, che tramite il Fondo di tutela dei depositi (Fitd) sono accreditate per un intervento “privato” fino a mezzo miliardo. Il Fitd riunirà il consiglio di gestione mercoledì per un esame del piano. La disponibilità del Fondo, legata alle possibili ricadute sui depositi di tutte le banche in caso di una crisi bancaria a Bari, resta dietro le quinte intatta, anche se il commissariamento ha tolto l’urgenza che imponeva, fino alla settimana scorsa, di immettere almeno un centinaio di milioni nella popolare barese entro il 31 dicembre, per consentire al suo patrimonio regolamentare di tornare sopra il minimo richiesto. Il Fondo guidato da Giuseppe Boccuzzi sembra intenzionato a prendere il tempo di studiarsi i numeri – specie quelli di chiusura esercizio a Bari, dove sono attese perdite attorno ai 400 milioni – prima di materializzare il proprio contributo, utile a tenere l’intervento nella sfera privatistica che gioverebbe al nulla osta dell’Antitrust europeo. Sul dossier Bari tra l’altro Bruxelles fu già severa in passato, quando mise il veto all’intervento del Fitd per contribuire all’acquisizione di Tercas (2014). Su quella scelta, poi cassata dalla Corte Ue, mesi fa Popolare di Bari ha chiesto danni per oltre mezzo miliardo.
Con altro spirito, più campanilistico, ieri anche la Regione Puglia con lettera del presidente Michele Emiliano al premier Conte, si è detta «disponibile anche ad un intervento diretto nel capitale della compagine che dovrà condurre il salvataggio della banca».