https://www.ilpost.it/2019/12/15/storia-amanti-auschwitz, 15 dicembre 2019
La storia di due amanti ad Auschwitz
David Wisnia e Helen Spitzer si incontrarono per la prima volta nel 1943 ad Auschwitz: lui aveva 17 anni, lei 25, e diventarono amanti. Si sono incontrati di nuovo, per un’ultima volta, nel 2016, a settantadue anni di distanza. La loro storia è stata raccontata dal New York Times.
Wisnia e Spitzer erano entrambi ebrei e prigionieri ad Auschwitz, ma a tutti e due, da un certo momento in poi, era stata concessa una condizione “privilegiata”: Wisnia era un cantante e venne scelto per intrattenere i nazisti mentre Spitzer, soprannominata Zippi, svolgeva un lavoro d’ufficio. I due diventarono amanti: per due anni si incontrarono circa una volta al mese a un’ora prestabilita, in cima a una scala fatta con i pacchi dei vestiti dei prigionieri, tra due forni crematori. Parlavano poco, ma quando lo facevano si raccontavano brevi frammenti del loro passato. David Wisnia aveva un padre appassionato di opera che era morto con il resto della sua famiglia nel ghetto di Varsavia. Helen Spitzer, che suonava il piano e il mandolino, gli insegnava qualche canzone in ungherese. Parlarono anche del futuro, sapevano che presto sarebbero stati separati, ma pianificarono di riunirsi e di passare una vita insieme fuori da lì. Le cose non andarono così. Quando si incontrarono di nuovo, dopo 72 anni, entrambi avevano già sposato altre persone.
Dopo la fine della guerra David Wisnia si trasferì a Levittown, in Pennsylvania, negli Stati Uniti. Fece vari lavori, continuò a cantare: gli capitava di parlare nelle scuole o nelle biblioteche della propria esperienza nel campo di Auschwitz, ma trascorse gran parte della sua vita adulta cercando di non pensare al passato. Suo figlio maggiore venne a sapere solo da adolescente che suo padre non era nato negli Stati Uniti e qual era la sua storia. Quando cominciò a raccontare la storia, fu convinto a farlo in pubblico. Nel 2015 pubblicò un libro di memorie, ed è così che la sua famiglia seppe della sua amante di Auschwitz.
Helen Spitzer fu tra le prime donne ebree ad arrivare ad Auschwitz, nel marzo del 1942. Veniva dalla Slovacchia, dove aveva frequentato una scuola tecnica e terminato un apprendistato come grafica. Inizialmente le fu assegnato un lavoro manuale a Birkenau. Era malnutrita e perennemente malata. Resistette fino a quando non si ferì alla schiena durante un crollo. A quel punto, la sua capacità di parlare tedesco, le sue competenze e la fortuna la portarono a un lavoro migliore. Inizialmente dovette occuparsi della vernice rossa con cui si segnavano le uniformi delle detenute, poi lavorò alle registrazioni delle donne in arrivo. Quando incontrò Wisnia, lavorava alla gestione dei documenti e dei registri dei nazisti. Più le sue responsabilità aumentavano, più era libera di spostarsi all’interno del campo; talvolta le erano consentite delle uscite anche fuori. Si faceva la doccia regolarmente e non doveva indossare una fascia al braccio. Usò le sue conoscenze per costruire un modellino del campo; i suoi privilegi erano tali che riuscì a comunicare anche con l’unico fratello che era sopravvissuto in Slovacchia. Nonostante questo, Spitzer non divenne mai una collaboratrice nazista o una kapo, un’ebrea incaricata di sorvegliare gli altri prigionieri. Usò invece la sua posizione per aiutare detenuti e alleati, per manipolare documenti e riassegnare i prigionieri ad altri incarichi. La sua attività è stata documentata da diversi storici, dopo la guerra.
Quando David Wisnia arrivò ad Auschwitz, iniziò a lavorare raccogliendo i corpi dei prigionieri che si buttavano contro la recinzione elettrificata che circondava il campo. In pochi mesi si diffuse la voce che era un cantante di talento. Iniziò così a cantare regolarmente per le guardie naziste e gli fu assegnato un nuovo lavoro in un edificio che le SS chiamavano “Sauna”, l’ambiente dove i sopravvissuti alla prima selezione venivano spogliati di tutto e i loro vestiti venivano disinfettati. Fu lì che venne notato da Spitzer, la quale, una volta stabilito un contatto, pagò alcuni detenuti con del cibo per sorvegliare i loro incontri segreti. La loro relazione durò diversi mesi. Un pomeriggio del 1944 i due si resero conto che quello probabilmente sarebbe stato il loro ultimo incontro: i nazisti avevano cominciato a svuotare i campi e a distruggere le prove dei loro crimini. Cominciò a girare la voce che i sovietici stavano avanzando e la guerra sarebbe potuta finire presto. Durante il loro ultimo appuntamento, Wisnia e Spitzer fecero un piano e si promisero di incontrarsi a Varsavia al termine della guerra.
Wisnia partì prima di lei su uno degli ultimi camion che lasciarono Auschwitz. Fu trasferito al campo di Dachau, nel dicembre 1944, e poco dopo partì per una delle evacuazioni forzate chiamate “marce della morte”. Lungo il percorso trovò una pala. Colpì una guardia delle SS e corse via. Il giorno dopo, mentre si nascondeva in un fienile, sentì che si stavano avvicinando delle truppe. Corse verso i carri armati e sperò per il meglio: erano gli americani. Le due sorelle di sua madre erano emigrate a New York negli anni Trenta e lui aveva memorizzato il loro indirizzo. Durante la sua permanenza ad Auschwitz, scrive il New York Times, «quell’indirizzo era diventato una specie di preghiera per lui, una guida». Dopo aver ascoltato la sua storia, raccontata un po’ in inglese, un po’ in tedesco, in yiddish e polacco, i soldati americani lo “adottarono”. Gli diedero da mangiare, una divisa, una mitragliatrice e gli insegnarono a usarla.
Decise che l’Europa sarebbe stata il suo passato: «Non volevo avere niente a che fare con qualcosa di europeo», l’America era il suo futuro e il suo piano. Non prese più in considerazione la promessa di incontrare Zippi. Al seguito dell’esercito americano divenne un interprete e un aiutante civile: doveva interrogare i tedeschi, confiscare le loro armi e occuparsi dei rifornimenti ai soldati. A volte andava anche al campo profughi di Feldafing, in Baviera, per consegnare i rifornimenti, e nel febbraio del 1946 emigrò negli Stati Uniti. Poco dopo la fine della guerra, però, Wisnia venne a sapere da un ex detenuto di Auschwitz che Zippi era viva.
Helen Spitzer fu tra le ultime a lasciare Auschwitz da viva. Fu inviata al campo femminile di Ravensbrück, a circa 100 chilometri da Berlino, e poi a Malchow. Infine partì anche lei per una “marcia della morte”, ma con un’amica riuscì a scappare togliendo la striscia rossa che aveva sull’uniforme e confondendosi con la gente del posto. Mentre l’Armata Rossa avanzava e i nazisti si arrendevano, Spitzer si diresse verso la sua casa di Bratislava, in Slovacchia. I suoi genitori e quasi tutti i suoi fratelli non c’erano più, tranne uno, che si era appena sposato. Decise di lasciarlo e iniziare una nuova vita. Raggiunse il campo profughi di Feldafing, lo stesso in cui Wisnia consegnava provviste, e nel settembre del 1945 sposò Erwin Tichauer, un responsabile della sicurezza delle Nazioni Unite, ruolo che gli permise di lavorare a stretto contatto con l’esercito americano.
Ancora una volta, Helen Spitzer, che aveva 27 anni e che a quel punto era conosciuta come la signora Tichauer, si ritrovò in una posizione privilegiata. Sebbene anche lei e il marito fossero sfollati, vivevano fuori dal campo: lei si occupava di distribuire cibo tra i rifugiati, in particolare alle donne incinte. Negli anni successivi entrambi si dedicarono all’attivismo umanitario in Perù, Bolivia e Indonesia; lui insegnò bioingegneria a Sydney e poi si trasferirono prima ad Austin, in Texas, e poi nel 1967 a New York, dove Tichauer divenne professore di bioingegneria alla New York University. Spitzer parlò regolarmente con gli storici, ma non tenne mai discorsi pubblici e non menzionò mai David Wisnia.
David Wisnia visse per po’ a New York, trovò lavoro come venditore di enciclopedie e nel 1947, a un matrimonio, incontrò la sua futura moglie, Hope. Cinque anni dopo i due si trasferirono a Filadelfia e infine a Levittown, dove un amico comune disse a Wisnia che Zippi era a New York. Pensò di contattarla e di chiederle come fosse riuscita a sopravvivere ad Auschwitz. Il loro amico organizzò un incontro. «Non si è mai presentata», disse poi Wisnia. «Ho scoperto che aveva deciso che non sarebbe stato intelligente. Era sposata: aveva un marito». Wisnia decise di riprovarci nel 2016 e lei, alla fine, accettò. Wisnia portò con sé due dei suoi nipoti: «Rimase in silenzio durante gran parte del viaggio in auto da Levittown a Manhattan. Non sapeva cosa aspettarsi. Erano passati 72 anni dall’ultima volta che aveva visto la sua ex ragazza. Aveva sentito che era in cattive condizioni di salute, ma sapeva ben poco della sua vita. Sospettava che avesse contribuito a mantenerlo in vita e voleva sapere se era vero», scrive il New York Times.
Quando Wisnia e i suoi nipoti arrivarono nel suo appartamento, trovarono la signora Tichauer sdraiata su un letto d’ospedale, circondata da scaffali pieni di libri. Era sola da quando suo marito era morto, nel 1996, e non avevano mai avuto figli. All’inizio non riconobbe Wisnia. Ma quando lui si avvicinò, «I suoi occhi si spalancarono, quasi come se la vita fosse tornata in lei», ha raccontato il nipote di Wisnia, Avi Wisnia, 37 anni. Improvvisamente cominciarono a parlare, nella loro lingua adottiva: «Di fronte ai miei nipoti, ha detto: “Hai raccontato a tua moglie cosa abbiamo fatto?” “L’ho detto, Zippi”». David Wisnia le parlò dei suoi figli, del tempo passato con l’esercito, lei gli parlò del suo lavoro umanitario dopo la guerra e di suo marito: «Non avrei mai pensato che ci saremmo rivisti, e a New York». L’incontro durò circa due ore. Alla fine lui non poté fare a meno di chiederle se lei avesse qualcosa a che fare con il fatto che fosse riuscito a sopravvivere ad Auschwitz. Lei alzò la mano per mostrare le cinque dita: «Ti ho salvato cinque volte da una brutta spedizione»:
«C’era di più. “Ti stavo aspettando”, disse la signora Tichauer. Il signor Wisnia era stupito. Dopo essere fuggita dalla marcia della morte, lei l’aveva aspettato a Varsavia. Aveva seguito il piano. Ma lui non era mai arrivato. Lo aveva amato, gli disse piano. Anche lui l’aveva amata, disse. Il signor Wisnia e la signora Tichauer non si sono mai più rivisti. Lei è morta l’anno scorso, a 100 anni. Nel loro ultimo pomeriggio insieme, prima che il signor Wisnia lasciasse il suo appartamento, gli chiese di cantare per lei. Lui le prese la mano e le cantò la canzone ungherese che lei gli aveva insegnato ad Auschwitz. Voleva mostrarle che ricordava le parole»