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 2019  dicembre 15 Domenica calendario

Intervista ad Andrea Stramaccioni

Stramaccioni, dica la verità: se lo sarebbe mai aspettato che un giorno ci sarebbero stati disordini di piazza per convincere i proprietari del suo club a trattenerla?
«Confesso: nemmeno nelle mie più sfrenate fantasie».
Fino a pochi mesi fa, Andrea Stramaccioni da Roma, classe 1976, enfant prodige del calcio italiano, nemmeno sapeva che in Iran la passione per il calcio potesse arrivare a tanto. Anzi, nemmeno lo conosceva, il calcio iraniano.
«È vero. Quando arrivò l’offerta dell’Esteghlal la prima cosa che pensai fu: l’Iran?!?».
E come l’hanno scoperta, da quelle parti?
«Ali Khatir, ex membro della Fifa, che aveva seguito l’Europa League ai tempi dell’Inter, si è ricordato di me».
Ha accettato l’offerta senza ripensamenti?
«Non sono ipocrita: la verità è che ho scelto quando ho capito che in Italia non c’era posto per me».
Quindi com’è andata? Ha detto a sua moglie «tesoro, il prossimo anno andrei ad allenare in Iran…»?
«Sì, più o meno sì».
E lei come l’ha presa?
«Dalila è una donna straordinaria, mi ha sempre seguito e ha fatto sempre sentire i miei figli come a casa. Non finirò mai di ringraziarla... e con l’hijab sta molto bene!».
L’Iran è oggi l’ultima tappa di una carriera ben poco tradizionale.
«Diciamo che non mi sono fatto mancare niente».
Giovane promessa, arriva in prima squadra nel Bologna a 18 anni. Debutta in Coppa Italia, all’ultimo minuto si distrugge un ginocchio. Era la sua prima partita da professionista, sarà anche l’ultima. Che cosa sarebbe successo se quel giorno non si fosse infortunato?
«Bella domanda... Ho smesso di giocare a 23 anni dopo il terzo intervento al ginocchio, ero andato via di casa a 14 per fare il calciatore. Forse sarei diventato un buon giocatore, forse no. All’epoca pensavo solo che non avrei mai più giocato».
Invece è diventato un ragazzo prodigio della panchina. E ha scoperto l’invidia di alcuni colleghi...
«Se qualche allenatore più anziano mi ha criticato perché non mi ritiene bravo o all’altezza, accetto e rispetto le opinioni di tutti. Ma se mi dicono che “non ho fatto gavetta” mi viene da ridere, perché a differenza della maggior parte di chi allena in serie A o B non ho mai giocato da professionista, non ho parenti o amici che hanno vissuto il calcio a grandi livelli, ho due genitori insegnanti, ho iniziato ad allenare a 23 anni sui campi di terra di periferia in una squadra giovanile dilettante che neanche esiste più, si chiamava Az Sport e a volte facevamo fatica ad arrivare a 11 giocatori... Insomma, mettiamoci d’accordo su cosa sia questa benedetta gavetta».
Poi è arrivata la chiamata di Massimo Moratti.
«La persona a cui devo tutto. Solo chi non ha mai parlato di calcio con Massimo Moratti non può capire il suo livello di competenza».
Si è mai chiesto se la panchina dell’Inter non sia arrivata troppo presto? Non ha avuto paura di bruciarsi, subentrando a Ranieri?
(risata) «Avrei mai potuto dire di no a Moratti? Non scherziamo... Come diceva Totò, “mi sarei sputato in faccia per tutta la vita”».
Il giovane Stramaccioni aveva la presunzione di poter vincere subito con l’Inter?
«Il giovane Stramaccioni era un giovane inesperto allenatore che aveva avuto la fortuna di trovarsi in uno spogliatoio di campioni incredibili, Zanetti, Mi-lito, Cambiasso, Samuel, Stankovic, Sneijder, Chivu, Lucio, Maicon, Julio Cesar... serve che continui? Furono loro che indirettamente mi riconfermarono per la stagione seguente, il resto sono chiacchiere».
Otto vittorie consecutive, come Trapattoni, Simoni e Ranieri, il 3-1 in casa della Juventus di Conte. E poi che cosa è successo?
«Me lo sono chiesto spesso. Mi sono dato tre risposte: uno, l’incredibile serie di infortuni che ha colpito la squadra da gennaio ci ha penalizzati; due, l’imminente cessione della società a Thohir ha destabilizzato il club; tre, la mia inesperienza mi portò a commettere diversi errori».
Moratti? Solo chi non ci ha parlato non può capire
il suo livello di competenza
Però poi a confermarmi all’Inter sono stati campioni come Milito o Cambiasso,
il resto sono chiacchiere
Si raccontava di una sua leggendaria lite con Cassano.
«Accadde di fronte a diverse persone, quindi sì, inutile negarlo. Sono cose che capitano in uno spogliatoio ma oggi non lo rifarei».
Dopo l’Inter, l’Udinese.
«Partimmo benissimo ma quando a gennaio eravamo praticamente già salvi la società decise di vendere Muriel. La squadra cominciò a non avere più fame. A fine anno mi sono confrontato con Pozzo e l’Udinese ha deciso di puntare su un altro tecnico. Resto però l’unico dopo Guidolin ad aver iniziato e finito una stagione all’Udinese».
Poi l’estero. Dopo l’Udinese, il Panathinaikos, lo Sparta Praga. E l’Esteghlal. Stramaccioni l’esploratore.
«Una cosa generazionale».
La fuga dei giovani dall’Italia. Parliamone.
«Al Pana prima stagione alla grande, partiamo con una penalizzazione e arriviamo secondi. Seconda stagione cominciata meglio della prima, qualificazione ai gironi di Europa League e primo posto. Poi arriva il crac, stipendi non pagati e squadra smembrata. Fine del progetto».
Sparta Praga.
«È l’unica avventura negativa. Una squadra e una tifoseria storicamente nazionalistica affrontava un cambiamento epocale: in un colpo solo allenatore, staff e 12 calciatori stranieri. Fu troppo».
Ha mai avuto paura di diventare un allenatore buono per le squadre più strane in giro per il mondo ma dimenticato dal calcio italiano?
«Io sono felicissimo di quello che sono. Ho collezionato più di 100 panchine in Italia, più di 200 panchine in tutto il mondo. Ho avuto la fortuna di fare Europa League e Champions League. Ringrazio Dio ogni giorno per quello che ho: potrei smettere domani e sarei felice».
E poi è arrivato l’Iran. Ci tornerebbe?
«Anche subito».
Insomma, non era tranquillissimo da quelle parti. Ha detto che aveva paura a uscire di casa...
«Si riferisce all’episodio del taxi? Certo, sentirsi sempre controllato non è il massimo. Quando il tassista che mi stava riportando a casa è stato chiamato al telefono per fargli cambiare strada non è stato un bel momento...».
Che cosa è accaduto esattamente con l’Esteghlal?
«Purtroppo c’erano irregolarità tecniche dei pagamenti, e non parlo di un ritardo ma della forma. E questa situazione era conosciuta dal management fin dall’inizio. Sicuramente alla base ci sono le difficoltà dovute alle sanzioni imposte all’Iran a livello politico. Non era legalmente più possibile andare avanti».
Che peso ha la politica sullo sport in Iran?
«La nostra è una squadra gestita al 100 per cento dal governo e il presidente e il board sono frutto di scelte politiche. Glielo chiedo io: secondo lei la politica ha un peso nella nostra squadra?».
Sembrerebbe. Che cosa si porterà in Italia dall’Iran?
«Un’esperienza unica, in una terra affascinante e piena di storia. Molto diversa da come viene descritta. I segni dell’Impero Persiano, Persepolis, la culla della civiltà, Shiraz, Isfahan sono solo alcune delle meraviglie persiane. E l’accoglienza della gente per lo straniero è qualcosa di incredibile».
Lasciando l’Iran ha involontariamente causato disordini di piazza...
«...e proprio per questo spero di tornare a essere l’allenatore di questi fantastici tifosi scesi in piazza per me».
«Abbiamo pagato, Stramaccioni può tornare»: l’ha annunciato il nuovo board del suo club. Tutto è bene quel che finisce bene?
Non ho mai pensato di essermi bruciato accettando di allenare l’Inter e poi avrei mai potuto dire di no? Ma a chi mi dà del raccomandato dico: provate voi ad allenare sui campetti in terra battuta
«Le risponderò quando tutto sarà finito bene».