Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  dicembre 15 Domenica calendario

Gli indipendentisti scozzesi vogliono un nuovo referendum

!ME!MF!DD!TT!QQ!CC!SS!RF

La marcia verso l’indipendenza della Scozia è ripartita. Rilanciata da un risultato elettorale che ha visto il partito nazionalista guidato dalla premier Nicola Sturgeon toccare il 45 per cento dei voti e conquistare 48 seggi sui 59 a disposizione.
Già la prossima settimana il governo di Edimburgo pubblicherà un documento per chiedere un secondo referendum sull’indipendenza (quello del 2014 aveva visto la sconfitta dei secessionisti): una richiesta che deve essere autorizzata da Londra ma che Johnson ha già annunciato rispedirà al mittente.
Per quanto però potrà resistere alla pressione? Il voto, secondo la Sturgeon, ha dimostrato che la maggioranza degli scozzesi «vuole un futuro molto diverso dal resto del Regno Unito». E il governo britannico – ha aggiunto ieri – «non potrà alla fine bloccare la volontà del popolo scozzese».
Prenderanno le due nazioni strade diverse? Certo è che la loro storia è intrecciata da mille anni – e irrorata di sangue. Fra il 1040 e il 1746 sono stati soltanto tre i sovrani inglesi che non hanno dovuto respingere un’invasione dal Nord o scelto a loro volta di invadere la Scozia (e magari tutte e due le cose). L’unione dei due regni nel 1707 non fu affatto scontata o inevitabile.
Anche se, dopo quell’evento, l’Inghilterra sfruttò le risorse umane e materiali della Scozia per costruire l’impero: l’amministrazione coloniale e l’esercito marciavano sulle gambe degli scozzesi. Se l’Inghilterra aveva fondato l’impero, la Scozia lo faceva funzionare. E ai giorni nostri, sono venuti dalla Scozia gli ultimi primi ministri pre-Brexit: Tony Blair, di famiglia inglese ma cresciuto ed educato a Edinburgo, e il suo successore Gordon Brown.
Le differenze però restano. Perché quella segnata dal vallo di Adriano è una divisione che attraversa la storia, la cultura, la religione. Nelle brughiere settentrionali le legioni romane non osarono mai avventurarsi: gli scozzesi sono rimasti un popolo celtico, a Sud sono stati prima latinizzati e poi invasi da anglosassoni e normanni.
È una diversità scritta nel sangue e raccontata dalle epopee cinematografiche. A partire da Braveheart, ossia William Wallace, l’eroe nazionale che sconfisse gli inglesi in campo aperto alla fine del Duecento per finire poi torturato e giustiziato: un condottiero che per noi ha le sembianze di Mel Gibson. Mentre ha il volto di Katharine Hepburn Maria Stuarda, regina di Scozia: la sfortunata sovrana che nel Cinquecento tentò un’inutile restaurazione cattolica e terminò i suoi giorni imprigionata e poi decapitata per volere di Elisabetta I.
Ma il personaggio forse più celebre, tra fantasia e realtà, è James Bond: che contrariamente a quanto si possa pensare, non ha una goccia di sangue inglese. La spia di Ian Fleming è infatti di padre scozzese e di madre franco-svizzera. E il suo interprete per eccellenza non poteva che essere lo scozzesissimo Sean Connery (strenuo sostenitore, tra l’altro, dell’indipendenza).
E non si può non ricordare la diversità religiosa della Scozia: dove è forte la versione presbiteriana del protestantesimo, ossia la sua interpretazione calvinista e puritana, riconosciuta dall’Inghilterra come fede di Stato in Scozia nel 1707 quale condizione fondamentale dell’ Atto di Unione. Che lasciò intatto e separato, fino a oggi, anche il sistema legale vigente a Edimburgo. Una separazione che vale anche per gli studenti: se per i giovani scozzesi (e assieme a loro gli europei) l’università è gratis, gli inglesi che vanno a studiare lì devono pagare tasse salate come a casa loro. Cosa farà allora Boris Johnson per recuperare terreno ed evitare di passare alla storia come il premier britannico che presiedette alla dissoluzione del Regno Unito? Innanzitutto ha deciso di lanciare una «offensiva del sorriso» verso gli scozzesi, riconoscendo di essere il principale ostacolo alla riconciliazione. Il premier è infatti drammaticamente impopolare in Scozia: dunque sta programmando una serie di visite per tentare di riguadagnare consensi grazie alla sua nuova agenda basata sullo «One Nation Conservatism», il conservatorismo di tutta la nazione. Che significa attenzione ai problemi sociali e impegno a usare l’intervento pubblico, sotto forma di investimenti e programmi di spesa. Basterà?