Corriere della Sera, 15 dicembre 2019
Intervista a Matteo Renzi. Parla della Popolare di Bari e delle Sardine
Senatore Renzi, il governo rischia di cadere sulla Banca Popolare di Bari?
«Per me no».
Eppure Italia viva ha dato lo stop al decreto legge.
«L’altra sera si è consumata una grave scorrettezza. Prima il premier ha rassicurato tutti sul fatto che non vi sarebbe stato alcun decreto legge. Poi, all’improvviso, si sono convocati i ministri mezzora prima su un testo tutto da verificare. Questo non è il modo di procedere. Ho visto che Conte si è scusato, lo apprezzo. Per noi l’incidente è chiuso».
Quindi parteciperete al salvataggio della Banca pugliese?
«Tutte le persone responsabili hanno il dovere di dare una mano ai risparmiatori e ai lavoratori. Casomai la vera questione è capire perché sulle banche si sia fatta una campagna vergognosa e squallida in passato contro di noi. Ma ormai è storia».
Il caso di Etruria, di Ferrara e delle altre banche salvate nel 2015 per voi rimane una ferita aperta.
«Il mio governo nel 2015 fece un intervento coordinato e richiesto da Banca d’Italia senza tirar fuori un centesimo pubblico. Nel 2017 il governo Gentiloni fece un’operazione giusta in difesa soprattutto delle banche venete massacrate da una vergognosa rete di connivenze politiche ed economiche. Quel modello è stato copiato da leghisti e grillini per Genova. E oggi per Bari si fa molto di più. Se ci fosse un briciolo di onestà intellettuale oggi chi ha fatto lo sciacallaggio vergognoso contro di noi – e mi riferisco a politici, opinionisti, commentatori – dovrebbe riconoscere che salvare i risparmiatori era giusto allora, è giusto oggi».
Il fenomeno
Le Sardine hanno tolto a Salvini il monopolio della piazza. Il futuro però è ancora tutto da scrivere
Sulla vicenda della Popolare di Bari Di Maio ha attaccato Bankitalia.
«Ho imparato a mie spese che in Italia si può parlare male di tutti, persino del Papa, ma non di Banca d’Italia. C’è un comandamento implicito nelle redazioni e nei palazzi: “Non nominare il nome del Governatore invano”. Ho fatto una battaglia quando era il momento di farla. Adesso mi interessa il futuro. Quanto a Di Maio: ha utilizzato contro di noi un linguaggio violento per provvedimenti molto più soft di quelli che voterà stasera in Consiglio dei ministri. In un mondo normale Di Maio oggi dovrebbe scusarsi, per Etruria come per Bibbiano, ma so che è chiedere troppo: basterebbe che capisse quanto male fanno violenza verbale e menzogne. Il tempo è galantuomo, sempre. E la verità arriva, prima o poi ma arriva».
Anche sulla legge di Bilancio non sono mancate le tensioni da parte di Iv.
«Ciò che lei chiama tensioni, per me si chiamano miglioramenti. Sono orgoglioso del lavoro che hanno fatto i nostri parlamentari. Se in questa manovra sono stati cancellati aumenti di tasse assurdi, a cominciare dall’Iva e dalle auto aziendali il merito è innanzitutto dei nostri emendamenti. Adesso abbiamo due obiettivi. Sul breve periodo dobbiamo cancellare le misure populiste su plastica e zucchero. Sul medio periodo dobbiamo approvare il piano Italia Shock che può portare fino a due punti percentuali di Pil in più: sbloccare le opere pubbliche, con commissari ad hoc è la priorità. Ci sono 120 miliardi di euro bloccati: liberarli significa creare lavoro, altro che reddito di cittadinanza».
Le polemiche sulla fondazione Open vi hanno causato dei danni? Nei sondaggi scendete...
«Dopo le tonnellate di fango che ci hanno scaricato addosso mi pare che i dati siano ottimi: siamo ancora vivi, il tentativo di infanticidio è fallito. Saremo al 10% alle prossime politiche. E da gennaio ripartiremo a girare per tutta Italia. Dopodiché io su Open ho parlato in Aula, a testa alta, rispettando il Parlamento e augurando buon lavoro ai magistrati. Mi stupisce la continua diffusione di notizie coperte da segreto, mi stupisce l’invasione di campo di quei magistrati che vogliono decidere che cosa sia un partito politico. La magistratura deve decidere che cosa sia un reato, non cosa sia un partito. Perché quando le forme della politica sono dettate dagli inquirenti ci troviamo davanti alla fine della separazione dei poteri. Quindi siamo al di là della democrazia liberale. È un discorso forse troppo complesso per chi vive di slogan. Ma in tempi di populismo, rivendico la dignità e la bellezza della politica».
Le Sardine hanno riempito Roma. È una sconfitta per i partiti tradizionali?
«Direi che è una vittoria per la partecipazione. Le Sardine hanno abbracciato Roma e la capitale ha ricambiato l’abbraccio. Tutto bello. Ora la vera sfida per gli organizzatori è fare il salto. Non è facile. E nessuno di noi può tirare per la giacchetta o dare suggerimenti. Intanto sono stati bravissimi nel togliere il monopolio della piazza a Salvini. Questo è un primo risultato: c’è tanta gente perbene che vuole impegnarsi, partecipare e fare politica. Il futuro di questa storia è tutto da scrivere».