il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2019
Il caso di Gerald Cotten, fondatore della criptovaluta QuadrigaCX andatosene all’altro mondo (o altrove nel mondo), portandosi dietro la password di conti da 200 milioni di dollari
Andarsene all’altro mondo, portandosi dietro la chiave d’accesso a 200 milioni di dollari? O andarsene altrove nel mondo con 200 milioni? Chi aveva affidato i suoi soldi a Gerald Cotten, fondatore di uno dei maggiori siti mondiali di scambio di criptovalute, perché li gestisse e li facesse fruttare, vorrebbe proprio sapere se il suo “banchiere” è davvero deceduto improvvisamente in India, a trent’anni, un anno fa, per complicazioni del morbo di Crohn, o se non si sia piuttosto eclissato con i soldi – sia pure cripto – e le chiavi d’accesso relative.
Cotten, il fondatore del sito di scambio canadese QuadrigaCX, se n’è andato – quale che sia il senso dell’espressione – portando per sempre con sé le chiavi di accesso alla piattaforma. Di conseguenza, i suoi clienti non possono recuperare le loro somme e neppure sapere se ci sono ancora.
A inizio anno, QuadrigaCX, che, nel frattempo, impossibilitata a operare, ha chiuso, aveva avviato un’azione legale presso un tribunale canadese della Nuova Scozia per proteggersi dai creditori, che volevano recuperare i loro soldi. La vertenza è approdata alla Corte Suprema della Nuova Scozia. Adesso, i creditori chiedono la riesumazione del corpo di Cotten e un’autopsia postuma, sospettando che lui non sia affatto morto. Nell’esposto, presentato alla Royal Canadian Mounted Police, le Giubbe Rosse, lo studio legale Miller Thomson, canadese, fa riferimento a “circostanze non chiare” del decesso e alle “perdite significative” che la sua scomparsa ha comportato per i suoi clienti. Informazioni raccolte nel corso dell’indagine avallerebbero dubbi sulla morte di Cotten. Jennifer Robertson, la vedova di Gerald, ha affidato al suo legale una dichiarazione in cui dice che, con la loro richiesta, i clienti le hanno “spezzato il cuore”. Per Jennifer, “non c’è motivo” di mettere in dubbio il decesso del marito; né si vede come un accertamento delle cause della morte possa “contribuire al recupero dei beni” custoditi in casseforti digitali inviolabili. La malattia di Crohn è un’infiammazione cronica intestinale, le cui cause sono ancora sconosciute, ma il cui decorso, pur fastidioso, è raramente letale. In totale, al momento del decesso di Cotten, QuadrigaCX gestiva, con beneficio d’inventario e citando la fonte più alta, circa 200 milioni di dollari in criptovalute dei suoi circa 115 mila clienti. Gerald aveva dotato la piattaforma di scambio di numerose protezioni, visto che strutture analoghe sono state spesso nel mirino di cyberladri. Una prevedeva l’utilizzo dal suo pc personale, dotato d’un sistema di crittografia. “Il computer che Gerry usava per gestire l’azienda è criptato. Io non ho idea di dove sia la password né l’ho trovata” aveva subito asserito e continua a sostenere la Robertson. Alla fine, Quadriga CX ha chiuso i battenti fisici e informatici, lasciando i clienti comprensibilmente. Le voci che Cotten abbia simulato la propria morte cominciarono a circolare da subito e continuano a essere insistenti, anche se, nell’anno trascorso dal (presunto) decesso, non è emersa alcuna prova. Alcuni esperti di valute digitali, come Crypto Medication, sospettano che i soldi in realtà non siano chiusi a doppia mandata in una cassaforte digitale, ma semplicemente non esistano e non siano mai esistiti e che alla base di tutto ci sia una truffa. Vanity Fair, in una ricostruzione ricca di particolari, non esitava a parlare di uno “schema Ponzi”, cioè di una truffa bella e buona, e d’uno yacht di lusso a bordo del quale – suggeriva l’illustrazione dell’articolo – il giovane Gerald starebbe veleggiando. Alcune circostanze possono avallare questo sospetto, ma si procede senza certezze. Mesi or sono, Ernst & Young, una delle più prestigiose aziende di auditing mondiali, scoprì “significativi problemi” nella gestione della piattaforma Quadriga: Cotten avrebbe pure trasferito somme sostanziose a suoi conti personali o a conti di terzi. I segugi di Ernst & Young riuscirono a recuperare circa 33 milioni di dollari canadesi, un sesto circa della somma globale stimata.