la Repubblica, 15 dicembre 2019
Ospedali, 5mila medici in meno ogni anno
Può andar bene anche l’idraulica per spiegare quello che sta succedendo alla sanità italiana in fatto di personale. Il servizio pubblico è come un tubo troppo stretto in entrata, che lascia quindi passare pochi giovani medici, e troppo largo in uscita, vista la grande quantità di pensionamenti. In più, è la novità di questi mesi, quel tubo ha molte perdite. Ci sono cioè medici che se ne vanno prima del tempo perché stanchi, demotivati, attratti dai guadagni offerti dal privato, magari all’estero. Qualcuno teme che si tratti addirittura di 5mila camici bianchi all’anno.
Benvenuti nel più grande problema della sanità italiana odierna, paventato da anni e adesso arrivato in tutta la sua complessità, tra ospedali che non trovano nessuno disposto a coprire i turni in certi reparti, concorsi mezzi vuoti, sindacati agitati e Regioni e ministero della Salute a caccia di soldi per aumentare assunzioni e borse di studio. Per risistemare un po’ le cose ci vorrebbero più specializzandi soprattutto in certe discipline, lo dicono tutti e da poco lo ha ribadito il ministro alla Salute Roberto Speranza, che ha anche promesso il suo impegno sul tema.
A rendere la situazione più preoccupante c’è quella nuova tendenza, la perdita. Si osserva in varie Regioni ma in una si è deciso di studiarla per bene. L’Anaao, sindacato più importante dei medici ospedalieri, del Piemonte ha calcolato che in un anno e mezzo abbiano lasciato le corsie degli ospedali prima del pensionamento il 6% dei camici bianchi, cioè il 4% annuo. In una situazione simile, dicono i primi calcoli della stessa sigla, ci sarebbe anche il Veneto. «Se proiettiamo il numero su scala nazionale – dice Carlo Palermo, segretario di Anaao – Abbiamo circa 5mila medici che lasciano anzitempo ogni anno. Un numero altisso e pericoloso per la qualità dell’assistenza».
Per capire l’impatto di quelle uscite è necessario considerare altri numeri. Negli ospedali italiani già adesso lavorano 8mila medici in meno rispetto al 2010. I calcoli dei sindacati dicono che a questi se ne aggiungeranno altri 16mila di qui al 2025. Come mai? Perché siamo in un periodo di gobba pensionistica, con in media 7mila uscite ogni dodici mesi. In questo momento escono dalle scuole di specializzazione 6mila giovani professionisti ogni l’anno. Non tutti però accettano di lavorare per il servizio sanitario nazionale, solo due su tre. E così si crea uno squilibrio che diventa da brivido se si la tendenza a licenziarsi prima del tempo di molti medici prosegue.
Il percorso di specializzazione dura o 4 o 5 anni, e di recente le borse sono state finalmente aumentate, fino a 9mila. «Ma quei professionisti arriveranno in corsia tra troppo tempo, quando i danni saranno fatti – dice Carlo Palermo – per questo bisogna far entrare nel sistema i giovani del quarto o quinto anno di specializzazioni». Questa possibilità, che è stata inserita l’anno scorso nel Decreto Calabria, piace anche al ministro Speranza. Resta comunque da fare un lavoro di migliore programmazione delle borse di specializzazione, cioè tenendo conto dei reparti che hanno più difficoltà. Quelli più in crisi sono i pronto soccorso, le ginecologie, le ortopedie e le pediatrie.
Ma il problema del personale è legato anche a un blocco delle assunzioni subito dalle Regioni per anni. Proprio nell’ultima manovra questa misura è stata praticamente rimossa, cosa che dovrebbe un po’ sbloccare le cose. Sempre che i medici si trovino sul mercato.