la Repubblica, 15 dicembre 2019
Di Maio vola in Libia per riaprire i negoziati con al-Serraj
L’Europa si muove: forse è troppo tardi e forse il Vecchio continente è troppo diviso e impotente per poter reagire adeguatamente. Ma ormai i leader europei hanno capito che in Libia non si gioca una guerra civile fra fazioni locali. È una partita che avrà effetti sui loro Paesi e sui loro popoli. E non si parla più di migranti in arrivo o di petrolio perduto, ma di una guerra a tutto campo che potrebbe infiammare i confini dell’Europa. Anche per questo il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio martedì farà la sua prima visita a Tripoli. Incontrerà il presidente Al Serraj e il vice-presidente Ahmed Maitig, sarà il primo inviato europeo di una Ue che presto potrebbe presentarsi in Libia con la trojka Italia-Francia-Germania.
L’incarico affidato a Di Maio in qualche modo è arrivato direttamente dall’incontro di venerdì a Bruxelles fra Giuseppe Conte, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. I leader politici di Italia, Germania e Francia non hanno fatto altro che mettere in fila le notizie da giorni sotto gli occhi di tutti: l’avanzata verso Tripoli della milizia di Khalifa Haftar sostenuta dalla Russia coi mercenari della “Wagner”. Poi la reazione del governo di Fayez al Serraj: l’accordo con la Turchia. Tripoli che in cambio di promesse di petrolio riceve nuovi droni, nuove armi e forse anche soldati dalla Turchia.
Di fronte a questa escalation, l’Europa però stentava ancora a reagire. E con essa il governo italiano. Se non fosse stato per il mite Ghassan Salamè, l’inviato Onu in Libia, i leader europei probabilmente continuerebbero a ripetersi addosso «non c’è soluzione militare in Libia», «faremo di tutto per far trionfare la pace» e altre dichiarazioni rituali del genere. Salamè invece alla conferenza Med di Roma in privato ha fatto un discorso durissimo a Giuseppe Conte, a Luigi di Maio e a tutti gli inviati europei che ha incontrato. Riassumibile così: «L’Italia, l’Europa sono ferme. Siete fermi. Vi è esplosa la crisi più paurosa di sempre alle porte di casa e voi non fate nulla, rischiate di essere marginalizzati da un processo che vi tocca e può portare ad altra guerra».
Gli incontri del ministro italiano con Al Serraj e il vice Maitig martedì non saranno facili: per mesi Tripoli ha chiesto un aiuto all’Italia. Se non armi, un maggiore appoggio politico. E invece niente. Conte per i libici è rimasto marchiato dalla sua dichiarazione «Siamo equidistanti fra Tripoli e Haftar», fra un governo riconosciuto dall’Onu e un capomilizia che ha ordinato l’assalto di Tripoli mentre negoziava con l’Onu.
Di Maio invece, impantanato nella gestione delle crisi del governo e del suo partito, sulla Libia non ha lavorato in maniera propositiva. E l’unica breve missione tenuta in Nordafrica l’ha svolta in Marocco. Dice un funzionario informato: «L’Italia è in difficoltà, perché Tripoli ora ci snobba, noi come gli altri europei. Al Serraj e i suoi stavano affondando, Erdogan ha mandato loro armi e droni per resistere». Conquistando le simpatie di una leadership tripolina che era nata col marchio di «governo degli italiani».