Corriere della Sera, 14 dicembre 2019
Rhea Bullos, la ragazzina che voleva correre ma non aveva le scarpe
Rhea Bullos ha undici anni e una voglia matta di correre. Non sa neanche lei da dove le arrivi, questa voglia. Ma sa che solo quando corre si sente in pace con sé stessa. Solo quando corre si dimentica di essere fragile e povera. Frequenta le elementari a Balasan, nelle Filippine, e riesce a qualificarsi per le finali di atletica della sua regione, a cui partecipano ragazzine che rispetto a lei sono vuote di talento, ma piene di scarpe. Scarpe vere, da corsa, quelle con i tacchetti che aderiscono alla pista e rimbalzano come molle. Quelle marchiate dai loghi della Nike e della Adidas, che Rhea ha ammirato in televisione ai piedi dei campioni.
Rhea ai piedi non ha che i piedi. Così decide di costruirsi da sola le sue scarpe da corsa. Si fascia le dita e le piante con una benda, le compatta con il gesso, poi prende un pennarello blu e ci disegna sopra lo svolazzo della Nike. Non è un cedimento al consumismo, che Rhea forse non sa nemmeno cosa sia, ma il disperato e ironico desiderio di avere le ali anche lei. Il resto – grinta, resistenza, agilità – lo possedeva già. Scende in pista e vince: i 400, gli 800, i 1500 metri. Il suo allenatore posta sui social la foto dei suoi piedi griffati e Rhea diventa una storia di Natale. Una di quelle storie che, appena le leggi, per quanto malmesso tu sia, ti viene voglia di inghiottire la fatica di vivere e rimetterti a correre.